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RIFLESSIONI DEL DIRETTORE – LA BANCA E L’ALLUME DEL MAGNIFICO AGOSTINO CHIGI

516 anni fa, il 24 dicembre del 1500, il senese Agostino Andrea Chigi, forse il più grande tra i banchieri, ma non di meno grande uomo d’affari, industriale, imprenditore, potentissimo ma mai direttamente impegnato in politica, uomo dalle straordinarie relazioni in Europa e mecenate fondamentale per la storia dell’arte, s’incontrava con Papa Alessandro VI, Rodrigo Borgia, spagnolo più aduso al potere temporale che alla teologia. Si trattava di firmare il contratto di gestione e sfruttamento delle miniere d’allume di rocca sulle montagne della Tolfa, fatto che avrebbe consentito la sua smisurata fortuna, un maggiore finanziamento dello Stato Pontificio, con il giustificativo di una Crociata che non sarebbe mai avvenuta, ma che avrebbe spinto lo stesso Maometto II – capo dell’alternativo Impero Ottomano – a definirlo in maniera elogiativa “ Grande mercante”. Agostino, che successivamente ottenne anche l’appalto di saline e dogane, era nato nel 1466 e di Siena e del Monte dei Paschi era una delle pietre angolari, gonfaloniere, console e capitano. Armatore, affidatario dell’Argentario e di Porto Ercole, proprio per conto della Città del Palio, in questi giorni deve essersi girato e rigirato nella sua tomba in Santa Maria del Popolo, a Roma, sentendo delle pesanti vicende e della necessitata operazione di salvataggio proprio della Banca del Monte, la più antica del mondo. In venti anni, il Chigi avrebbe sfruttato gli straordinari filoni di alunite scoperti nel 1462 da Giovanni da Castro, ottimizzando i risultati con tecnici turchi, operai alloggiati in case confortevoli, trasformazione e commercializzazione del prodotto necessario in medicina, concia delle pelli e colorazione dei tessuti in tutta l’Europa e con profitti enormi. Raffaello e Sebastiano del Piombo, il Sodoma lavoravano per lui e nei venti anni che lo avrebbero separato da morte improvvisa nell’aprile del 1520 Agostino colse in pieno il senso della vita giusta per un genio della finanza, puntando anche su operazioni immobiliari di straordinario pregio. Una per tutte, la realizzazione della celeberrima villa La Farnesina sulla riva destra del Tevere, Trastevere, forse la più bella tra le belle e preziose del Globo, oggi sede dell’Accademia dei Lincei e speculare a Palazzo Farnese, sulla riva sinistra, altro gioiello del Rinascimento romano. Vi sembrerà paradossale, ma se non fosse stato scoperto l’allume nei dintorni di Civitavecchia, ancora oggi custodito dalla splendida Allumiere, sotto le foreste di faggi che la circondano, il Chigi non avrebbe avuto modo di elevare a potenza le sue capacità, Alessandro VI, Giulio II e Leone X non avrebbero avuto finanziamenti per milioni di ducati d’oro, altri artisti letterati come Bembo, Giovio, Aretino e architetti come Baldassarre Peruzzi non avrebbero avuto incentivi straordinari. Molti poeti non avrebbero scritto versi dedicati a lui, come quelli di Benedetto Gareth, detto il Chariteo: “Augustino mio… / e tu dei Ghisi etruschi eterno onore / vivrai tra regi e non degno d’oblio / che di virtù cogliesti il frutto e il fiore”. Per concludere, credo che banche e banchieri odierni avrebbero molto da imparare dal Chigi, perché la “missione” non è quella o soltanto quella di prestare danaro al limite di usura, ma di gestirlo come lievito dell’intrapresa e strumento di benessere declinabile all’infinito, determinante, se legato all’arte, la cultura e la qualità della vita.

Ruggero Alcanterini

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