Puntuale, Mario Draghi ha presentato il Recovery Plan , definendolo “ La chiave del destino del nostro Paese ”. Si tratta di un progetto articolato per punti essenziali, che si riassume in duecentoquarantotto miliardi di euro, capaci di generare investimenti e ricadute epocali, sempre che non ci si metta di traverso. Rispettata la tempistica, che prevede la consegna dei documenti a Bruxelles entro venerdì 30 aprile, rispettata la visione prospettica di un cambio di filosofia e di passo, tutti o quasi hanno applaudito, mentre qualcuno ha obiettato sul minimo spazio riservato a discussioni e impossibili emendamenti. Ma ragazze ragazzi, vogliamo ancora perdere il trend, dopo le pessime esperienze maturate, sino a quella da “felliniano 8 e 1/2”, fatta a Villa Pamphili con i fantomatici Stati Generali, di cui non è rimasta traccia alcuna? E’ chiaro che la situazione gravissima e serissima in cui versa la nostra collettività, non soltanto ammorbata dal COVID19, richiede più di un colpo di reni. Non bastano e non basteranno nel breve e nel medio termine le due “transizioni”, quella ecologica e la digitale, per rendere efficace l’iniezione strategica di risorse, ma occorre mettere mano ad una operazione coordinata e complessiva di transizione etica per l’intera società civile italiana, che deve cambiare atteggiamento, pur mantenendo i fondamentali della propria cultura. O entriamo nell’ordine d’idee di cambiare drasticamente spartito e orchestrali, affidandoci senza dubbi sull’affidabilità, liberandoci di vecchi armamentari, di lacci e lacciuoli, di obiettivi di comodo, di ogni forma furba per aggirare il principio del merito, oppure non andiamo che a sbattere. Infine, occorre riaffermare con forza il principio del rispetto delle regole certe e condivise, motivo per cui, fuori dai denti, massima apertura, ma anche massimo rigore, anche nel giudizio morale e sostanziale che ognuno di noi prima o poi verrà chiamato ad esprimere.