Prima e dopo Primo (pubblicato su SPIRIDON – nov. 2018) – Certo di anni ne sono passati. Ma quanti ? Appena venti… Ma da quando? Dal 7 novembre del 1999, l’ultimo giorno di Primo Nebiolo, concluso in una clinica, senza appello, per aver rifiutato la semplice idea del male. Io ormai lo frequentavo poco e per dirla tutta ero reduce da una stagione complicatissima, professionale, politica ed associativa, succeduta giusto a quella infausta conclusione di uno storico ventennio FIDAL, nell’87/88, quando per voler troppo ci ritrovammo espropriati dell’idea, del progetto, del successo e dell’incredibile bilancio fatto di risultati e meriti, ma anche di sacrifici e bisogni ammortati nell’humus degli ideali, motivati dall’ottimismo della volontà. Su questo, con lui in vita, non ho avuto mai occasione di confrontarmi, ma ancora mi chiedo, perché mai quel pomeriggio del 5 settembre 1987 il Generale Santantonio mi chiese all’improvviso la cortesia di sostituire il mio collega vicepresidente del COL, Gianni Gola,nel turno di premiazione, mettendomi in un imbarazzante confronto con le titaniche protagoniste del lancio del peso e peggio ancora con l’apocalittico tsunami di fischi, che mi sommerse, mentre andavano contemporaneamente in onda gli annunci, gli squilli delle trombe ( probabilmente del giudizio) e due contemporanee rincorse ( di Sergey Bubka e Giovanni Evangelisti) quelle che avrebbero messo in corto circuito la storia, con un salto nel buio lungo trentadue anni e della cui contezza non abbiamo ancora la misura definitiva. Insomma, poco importa quel che accadde a me in quel momento, ma sicuramente è contata e parecchio in senso negativo, disastroso per tutti, quella combinazione chimica, quella manifestazione di lucida follia, cui per un po’ mi rifiutai di credere, tanto appariva surreale che qualcuno l’avesse concepita, tanto sembrava gratuito, seppure demenziale e suicida l’inutile azzardo. Per questo, io preferisco ricordare con affetto il prima di Primo, quando lo avevo conosciuto da semplice Presidente della FISU, vittima e carnefice della goliardia, che pervadeva il gruppo dirigente del CUSI, che appena dopo il trionfo organizzativo dei XVII Giochi non esitava a mettere in mezzo un personaggio tutto d’un pezzo come Marcello Garroni, referente CONI, tra lo sconcerto di Amos Matteucci e l’imbarazzo di me medesimo, giovane di segreteria nel team di un vigoroso buon maestro, tal quale era Vincenzo Vittorioso, oggi ancora sulla breccia come Presidente del Settore Salvamento della FIN. Un giorno, forse, vi racconterò come e perché Primo divenne il candidato alla Presidenza della Federatletica, pur non essendo stato organico alla fase rivoluzionaria del “Movimento di Rinnovamento” e come e perché non divenne Presidente in prima battuta , nonostante la forza maggioritaria comprovata sin dall’esito del primo dei due congressi del 1969. Certo, che lui ebbe la lucidità e la determinazione di darsi un progetto, cui non potevano mancare le gambe della comunicazione, della forma, dell’organizzazione, dell’apparato tecnico e non ultimo un respiro economico adeguato, che dobbiamo riconoscerlo era soprattutto frutto della sua capacità visionaria, di misterico alchimista capace di trasformare in oro quel che diversamente sarebbe rimasto vile materia. Qualche giorno fa, qualcuno mi ha ricordato che lui era comunque pur sempre schierato con la promozione sportiva, mai dimentico della sue radici socialiste. Posso anche confermare che aveva una grande considerazione per il proprio gruppo dirigente e che soltanto l’ostilità masochista del Palazzo H impedì allo sport italiano di avvalersi per intero della sua geniale sregolatezza, maturando all’inizio degli anni novanta e forse anche prima quel ruolo che oggi ancora si invoca, sempre in carenza costituzionale, anzi nel permanere di una diaspora che vede la corda tendersi al limite di una irreparabile rottura. Ma tant’è. Primo, volato via “prematuramente” a settantasette anni, oggi sarebbe un arzillo novantaseienne, con un bilancio ancora più ricco alle spalle e noi forse avremmo qualche medaglia in più nel palmares, se non si fosse drammaticamente compromesso proprio quando l’acme si fece virtuale, perdendo la coincidenza con lo straordinario vertice reale, quando il diapason di colpo smise di vibrare e dopo il prima venne il dopo di Primo. Ruggero Alcanterini