Non furono frequenti le occasioni in cui Pirandello parlò del compito dell’attore, ma al contempo i contenuti del suo pensiero appaiono chiari.
Nel saggio Illustratori, attori e traduttori, il drammaturgo affermava che l’attore deve ricreare il personaggio partendo da se stesso, creando un essere diverso da quello pensato dal drammaturgo:
«Il bello è questo, che han lasciato me e si sono messi a rappresentare tra loro le scene del romanzo, così come dovrebbero essere, Me lo rappresentano davanti, come se io non ci fossi, come se non dipendesse da me, come se io non potessi in alcun modo impedirlo[1]».
Pirandello negli anni Venti conosceva il lavoro di Stanislavskij, basilare per la prima parte di Questa sera si recita a soggetto; conosceva anche la teoria dello straniamento di Brecht, che permea la seconda parte della stessa commedia. L’interesse per Stanislavskij – il quale era influenzato dai risultati freudiani – non era comunque nato da molto, come fa notare Claudio Vicentini [2], poiché nei primi del Novecento l’attività scenica di Pirandello era pressoché limitata alla distribuzione dei propri testi ai capocomici di passaggio.
Ricordiamo infatti che in quegli anni la regia teatrale in Italia non era ancora nata e che Pirandello scrisse Questa sera si recita a soggetto nel 1930 mentre viveva a Berlino, «tentando di far soldi come sceneggiatore della nuova industria cinematografica e dove, frequentando i teatri della più avanzata scena europea, cerca di imparare i segreti del mestiere, per diventare ciò che non gli riuscirà mai di essere, un vero regista»[3]. Tentativo vano, poiché in Italia la figura del regista sarebbe stata introdotta solo nel 1932 con Silvio D’Amico; fino a quel momento, per indicare il regista teatrale, si usava dire metteur en scene, dal francese. Un ritardo storico della scena italiana che deve il motivo ad «una tradizione plurisecolare di protagonismo attorico. È ovvio che in Italia la resistenza degli attori all’avvento del regista sia più tenace, e sostanzialmente vincente»[4]. Il regista sarebbe nato al tramonto dell’epoca del grande attore ottocentesco, di Eleonora Duse e del pirandelliano Ruggero Ruggeri: primi attori e primedonne; D’Amico avrebbe saputo ricreare la figura dell’attore, con i rigidi insegnamenti dell’Accademia d’Arte drammatica da lui fondata. In questo quadro di protagonismo scenico, gli attori pirandelliani avrebbero potuto conoscere il Sistema di Stanislavskij, non ancora diventato “Metodo delle azioni fisiche”; la perejivànie (reviviscenza) stanislavskijana[5] appare molto vicina a ciò che Pirandello voleva dai propri attori, come traspare chiaramente dai suoi testi.
Attore che è per definizione l’essere più doppio, più binetiano di tutti gli esseri umani. Pirandello seppe adeguare il dramma dell’attore alla realtà, nella quale anche l’attore risulta “meta-diviso” dal suo compito. È forse qui un punto di contatto con l’inconscio di Freud: nell’interprete. Un attore che deve farsi portavoce, sintesi formale delle proprie idee inconsce e di quelle dell’autore, adeguandole alla realtà. Il corpo dell’attore diventa quindi uno strumento di comunicazione e rielaborazione formale della sfera inconscia, considerando che – citando Gombrich – «solo le idee inconsce che possono essere adeguate alla realtà delle strutture formali divengono comunicabili e il loro valore per gli altri sta per lo meno altrettanto nella struttura formale quanto nell’idea stessa»[6].
Nel meta-teatro pirandelliano, l’autore aspirava ad un’azione immediata, senza sostegno narrativo, in cui l’obiettivo è «dar luogo ad un’azione parlata, provvista di un’espressione immediata connaturata con l’azione, propria di quel personaggio in quella data situazione»[7].
[1] Luigi Pirandello, Saggi, Poesie e Scritti Varii, a cura di Manlio Lo Vecchio-Musti, Mondadori, Milano, 1960, p. 1217.
[2] Cfr. Claudio Vicentini, Pirandello e il disagio del teatro, Marsilio, Venezia, 2001.
[3] Roberto Alonge, Nuovo manuale di storia del teatro. Quell’oscuro oggetto del desiderio, Utet, Novara, 2008, p. 253. [Il corsivo è del’autore].
[4] Ibid., p. 266.
[5]Per un approfondimento sul Metodo Stanislavskij, cfr. Konstantin Stanislavskij, Il lavoro dell’attore su sé stesso, a cura di Gerado Guerrieri, Laterza, Roma, 2012. Cfr. Konstantin Stanislavskij, Il lavoro dell’attore sul personaggio, a cura di Fausto Malcovati, Laterza, Roma, 2011. Cfr. Franco Ruffini, Stanislavskij. Dal lavoro dell’attore al lavoro su di sé, Roma, Laterza, 2006. Cfr. Fausto Malcovati, Stanislavskij. Vita, opere e metodo, Laterza, Roma, 2011.
[6] Ernest Hans Gombrich, Freud e la psicologia dell’arte, Einaudi, Torino, 1973, p. 29.
[7] Luigi Pirandello, Saggi, Poesie e Scritti Varii, cit., pp. 981-982.