Mai come adesso ci si adatta il vecchio adagio che, con una simpatica popolare variante, rendeva meno tragica la rappresentazione del bisogno e dell’accoglienza da parte dei conventuali. Ieri, come potrebbe riaccadere oggi e come è accaduto ed accadde l’altro ieri, piuttosto che nel buio Medio Evo, è venuta giù l’Italia del Nord Ovest per via di una importante ondata di maltempo. Irruenti rovesci d’acqua e un super scirocco hanno creato il fenomeno della tempesta perfetta, che ha fatto ruggire ruscelli e liquefatto colline a valle, dopo aver incocciato la barriera alpina a monte, causando l’ennesimo annunciato disastro in Piemonte, Liguria e dintorni, con dispersi, vittime e disperati. Anche in questo caso, doglianze, appelli, dichiarazioni di emergenza per calamità naturali hanno fatto da contrappunto, come le annotazioni dei colleghi, che hanno sottolineato l’adeguatezza e la generosità dei soccorsi, tanto quanto l’inadeguatezza della prevenzione. Giusto, quindi il tema della prevenzione, proprio quello che sino a due settimana fa riguardava incendi boschivi e roghi tossici dolosi e che adesso si ribalta tra i flutti fangosi che si sovrappongono a ceneri ancora fumanti, mentre ancora si discute di ricostruzione nel Belice, in Irpinia e nell’Appennino Centrale, da L’Aquila ad Amatrice, da Norcia a Camerino. Non è la prima, né sarà l’ultima volta che occorre riflettere sugli accadimenti contingenti, dopo disastri ritenuti improbabili e per situazioni endemiche masochisticamente sopportate ma, nonostante l’emergenza virale che allontana con la sua falce molte buone intenzioni, almeno dichiarate, non possiamo esimerci dal ricordare che i nostri progenitori Romani, due millenni fa, avevano previsto come priorità opere di bonifica, viabilità e urbanistica di assoluta attualità, pur disponendo di mezzi e tecnologie ben diverse da quelle attuali. A Nord come a Sud, il Bel Paese paga oggi il prezzo della inadeguatezza e del non rispetto delle regole idrogeologiche, oltre al dazio imposto dal Pianeta agli umani, per l’irriguardoso comportamento che del clima ha fatto strame. Si parla in questi giorni di ritorno del COVID 19, ormai 20 e probabile 21, di ripartenza e di ripresa, pensando a come spendere, piuttosto che investire, 209 miliardi di Recovery Fund, salvo quelli in ballo del MES. Ma non vi sembra che sia la stessa natura a tirarci ancora una volta per giacca, anzi a strattonarci sino a farci cadere a terra? Si discute nei tribunali e con le carte bollate del caos immigrazione, di autostrade, di industrie al collasso tecnico sociale e tanto per fare esempi di processi a Catania, Genova e Taranto, per i casi Gregoretti, Polcevera ed ILVA, come per il MOSE a Venezia. E allora? Allora è evidente che i procedimenti e i processi, oltre che atti dovuti, divengono alibi e diversivi, mentre la nave affonda, come sempre ieri ha elementarmente dimostrato il MOSE, con il suo salvifico funzionamento, una volta liberato dalle manette. Insomma, tra i mali occorre sempre scegliere il minore, come fecero i nostri progenitori, sempre i Romani che, per risolvere gli invasivi problemi delle diverse etnie, pensarono bene di conferire a tutti la cittadinanza con pari diritti e pari doveri, lasciandoli nei territori di appartenenza e peraltro a difesa dei confini. Ecco, oggi l’Europa dovrebbe avere ben altro ruolo nelle aree da dove si originano fenomeni di emigrazione economica e stabilizzarli con accordi, opere e missioni, fino a far valere e difendere in quei territori diritti “allargati”, vincolandoli a “doveri” condivisi. Diversamente, “quando piove e tira vento” l’accoglienza finirà ancora e sempre nel nostro convento …