Uno studio di prospettiva coordinato dall’Istituto per la bioeconomia del Cnr, pubblicato su Global Change Biology, analizza come l’avvento di una nuova generazione di piante a basso contenuto di Clorofilla potrebbe essere un’arma in più nella lotta al cambiamento climatico, riducendo a parità di produzione l’assorbimento di radiazione solare.
Lo sviluppo delle società umane moderne è sempre stato accompagnato dall’introduzione di nuove piante coltivate. Praticamente tutti gli alimenti di origine vegetale che arrivano sulle nostre tavole provengono da varietà di piante che non esistevano nel passato. La “lunga marcia” per la creazione di nuove piante ha l’età dell’uomo moderno. È passata attraverso la selezione e domesticazione delle piante selvatiche, il miglioramento genetico attraverso incrocio e ibridazione, la mutagenesi (mutazioni genetiche indotte artificialmente in embrioni vegetali) e la transgenesi (trasferimento di geni da una specie all’altra). Oggi la tecnologia utilizzata è il cosiddetto “genome editing“, ovvero la manipolazione diretta del codice genetico tesa a modificarne le proprietà.
Ma se in passato si è puntato esclusivamente a migliorare le caratteristiche produttive e tecnologiche delle piante, oggi la frontiera si è allargata, includendo in primis la sostenibilità. É infatti urgente selezionare e creare nuove piante che possano contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico cercando di aumentare allo stesso tempo le potenzialità produttive delle varietà attualmente coltivate. È quello che sostengono i ricercatori Lorenzo Genesio, Franco Miglietta (Istituto per la bioeconomia del Cnr) e Roberto Bassi (Università di Verona) nell’Opinion paper appena pubblicato sulla rivista Global Change Biology in cui spiegano come l’avvento di una nuova generazione di piante a basso contenuto di Clorofilla potrebbe essere un’arma in più nella lotta al cambiamento climatico. “Una strategia utile a controbilanciare una parte del crescente “effetto serra” è quella di aumentare la frazione della luce solare che viene riflessa dalla superficie terrestre che, tornando indietro verso lo spazio, non contribuisce al suo riscaldamento ” – spiega Lorenzo Genesio – “e questo potrà essere fatto anche coltivando nuove piante con bassi contenuti di clorofilla; piante più “pallide” che riflettono molta più radiazione solare”.
Alcune ricerche, e non solo quelle fatte dagli autori del lavoro appena pubblicato, dimostrano che riducendo il contenuto di clorofilla non solo si riflette più luce solare, ma si può arrivare ad avere tassi di fotosintesi più alti e maggiore produttività. “In sintesi” – afferma Franco Miglietta – “coltivare varietà di piante più pallide (di grano, orzo, mais, soia) equivale a ridurre le emissioni di gas climalteranti, con un effetto di riduzione delle temperature a scala locale nelle zone più densamente popolate”.