La scorsa notte ho dato un ultimo sguardo alle “augustae news” ed ho così salutato l’antico amico Giovanni Bagaglia, volato anche lui tra gli iperborei, nel paradiso degli sportivi, tre giorni fa, sommessamente, con i suoi ottantasette anni di storia e soprattutto con le decine di migliaia di testi sportivi che continuavano ad affollare la sua memoria di pioniere curatore della Biblioteca Nazionale Sportiva.
Quella straordinaria intrapresa, ideale pietra angolare di un museo dello sport italiano mai nato, era stata affidata alla direzione di Renato Veschi da Giulio Onesti e Bruno Zauli, quindi amorevolmente ordinata nei locali bassi del Palazzo H al Foro Italico nei gloriosi anni che precedettero l’organizzazione della XVII Olimpiade estiva a Roma.
Io me li ricordo bene Giovanni e Renato, che andai a visitare accompagnato dall’onnipresente Giannetta, assistente sul campo del Segretario Generale, quando dovetti fare una ricerca sulle Universiadi, in occasione dell’edizione di Sofia nel 1961.
Quel sotterraneo, colmo di tesori della storia e della cultura sportiva, mi parve tale e quale la caverna di Ali Baba con le sue meraviglie. Non vi nascondo che il trasferimento all’Acqua Acetosa non l’ho mai digerito, perché l’ho visto come uno sdoppiamento, quasi un distacco tra un figlio e colei che lo ha generato, una sorta di rinuncia alla nobiltà di fronte all’arroganza di un dio minore, ma ineludibile come il Totocalcio, che si allargava.
E allora?
Allora, mentre come un mantra va in onda la pubblicità di una ennesima serie televisiva con visione sartoriale degli anni cinquanta, io ho avuto una pulsione onirica, quella di un mondo diverso, pieno di stima ed amore per lo sport, di una sorta di paradiso, in cui tutti i meritevoli, medagliati e non, come Giovanni Bagaglia, prima o poi possano entrare col suono trionfale delle chiarine, anziché sprofondare nell’oblio tra i clamori delle curve contrapposte, all’ombra di Monte Mario.