22 settembre 2016
– Confesso, sono basito dagli sviluppi dei Giochi di Roma. Davo per scontato il NO alla candidatura di Roma per La Olimpiade del 2024 da parte della Sindaco/a Virginia Raggi, anzi mi sarei sommamente sorpreso del contrario, ma non avrei mai immaginato un comportamento così anomalo, per non dire ridicolo, per onorare un doppio impegno con i cittadini elettori coinvolti nel programma elettorale impostato sul NO a prescindere e su di un incontro a tema con il Presidente del CONI, Giovanni Malagò, da farsi alla fine dell’estate. Lasciamo perdere le opinioni e le motivazioni formali, perché quel che conta è la chiave di lettura, l’architrave del nostro futuro di cittadini sportivi o meno. E vengo al dunque, pensando a scenari che a dir poco mi appaiono apocalittici. Primo, l’incontro tra Raggi e Malagò è stato programmato in anticipo rispetto all’Equinozio d’Autunno, che cade domani. Secondo, la Raggi ha ritenuto che una buona zuppa di verdure valesse più dell’annichilimento dei rapporti con il CONI, che volere o no è l’Ente che governa lo sport nel Paese, per legge. Giochi o non giochi, la collaborazione con il mondo dello sport andava salvaguardata, soprattutto da parte di chi a ereditato una situazione allucinante, in cui l’intero patrimonio impiantistico sportivo comunale è in stato abbandono, come il resto della Città. I Municipi, tutti pentastellati, meno quello di Ostia commissariato, sono in attesa da mesi di un segnale. Gli assessori allo sport, tutti pentastellati, alle prese con situazioni impossibili, senza budget, sono in attesa di poter incontrare in Campidoglio l’omologo per Roma capitale, Frongia, ma non hanno ancora avuto risposta. Dire no ai mattoni e al cemento non significa non tappare almeno le buche con l’asfalto o sturare i tombini. Francamente, si respira un’aria strana, sin dalla presa dello scranno con esibizione dell’infante. Ernesto Nathan, che sembra sia stato il più grande tra i Sindaci di Roma, passò alla storia, anche per aver detto NO ai Giochi del 1908, auspicati dal barone de Coubertin e per aver negato finanche la trippa ai gatti, pur di risparmiare sulle spese. Allora Roma giunse in ritardo con lo Stadio Nazionale, inaugurato al Flaminio nel 1911 in occasione della Expo Internazionale per i cinquant’anni dell’Unità d’Italia ed oggi avviato alla catarsi. Per dotarsi d’impianti e infrastrutture degne, Roma dovette rimettersi al Regime Fascista e poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale a persone straordinarie come Zauli e Onesti, che recuperarono la dignità italica attraverso il rilancio sportivo internazionale, che venne prima del Giappone e della Germania con la XVII Olimpiade a Roma nel 1960. Voglio ricordare che non fu facile vincere le contorsioni della politica , che videro parte della Democrazia Cristiana contro e paradossalmente il Partito Comunista a favore. Se Roma ancora sopravvive con infrastrutture degne di questo nome lo si deve proprio ai quei Gioch,i che diventarono il simbolo della rinascenza italiana negli anni sessanta e alla successiva gestione in convenzione degli impianti sportivi, sempre da parte del CONI, fino agli anni ottanta. Purtroppo adesso il danno è irreversibile. Altro che Casa Italia con Roma ambasciatrice della nostra cultura e della nostra qualità. Ieri, purtroppo, siamo riusciti a far ridere il mondo con una sovraesposizione mediatica, che la dice lunga sull’interesse universale, mattone o non mattone, che c’era per la candidatura di Roma. Infine, un invito ai neo amministratori capitolini, quello di farsi un “educational” a Barcellona, dove gli amici catalani, pur animati da uno spirito antagonista con Madrid, hanno trovato il modo di fare dei Giochi Olimpici 1992 un esempio straordinario di gestione vantaggiosa dell’Evento. Provate a capire quello che sono riusciti a cavare fuori da quella opportunità i concittadini di Gaudì e poi tornate nella terrificante palude che assedia Roma per piangere sul latte versato, senza appello.