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MATERA VAL BENE UNA CULTURA CAPITALE

18 GENNAIO 2019
– Sono anni che associo la ridanciana filosofia dell’ottimo Luigi Proietti a quella mitica di Marco Aurelio, imperatore degli aforismi e dei Romani, tant’è che bronzeo continua a guidarne la tollerante bonomia, in sella al cavallo, dal Campidoglio. Quindi, era scritto che fosse l’istrionico Gigi a presentare via etere, alle moltitudini europee, quella che da oggi è e sarà per l’anno 2019 d.C. la loro capitale culturale. Per magia, ecco dunque Matera, Città senza tempo, che affonda le sue radici nel profondo delle ere, dal paleolitico al nostro presente, dal silicio delle flint stone a quello del digitale, dall’uomo ignudo raccoglitore e cacciatore a quello in cravatta ipertecnologico. Per destino, ecco dunque l’occasione per salutare in Borea il mio antico amico e maestro Prospero Ambrico – basilisco di vaglia, mentore della poesia di Rocco Scotellaro , come lui esponente del socialismo ideale, promotore dello sport di base con l’AICS di Giacomo Brodolini, cultore della lirica pucciniana e testimone delle visioni sociali di Adriano Olivetti – che nel 1963 mi condusse per mano nella discesa tra i gironi dei Sassi, nel misterico tralignare delle chiese rupestri e l’occhieggiare smarrito delle cappelle sberciate, passando per il groviglio ipogeo di eterni umani ricoveri , stalle e romitori, tutti rifugi di memorie ultraremote, ma vive. A Matera, ispiratrice delle opere di Luchino Visconti e Pier Paolo Pasolini, dello stesso Scotellaro e del confinato Carlo Levi, la vocazione carsica si faceva e si fa materia, ostentando le cicatrici della storia, senza mezzi termini, precipitandosi giù tra i Sassi Barisano e Caveoso e ancor più verso il profondo richiamo della Gravina, anelante verso il Bradano. L’emozione del ritorno in quota, attraverso la straordinaria macchina del tempo, non fu e non è oggi meno carica di emozioni, tra lo scorrere del moderno divenire fatto di profumi ed afrori, melodie e travagliare di rumori, di speranze e quotidiani dolori…
„Avevi tutti gli odori dei giardini | seppelliti nei fossi attorno le case; | tu sei, réseda selvaggia, che mi nutri | l’amore che cerco, che mi fai sperare. | E come l’onda non la puoi fermare, | non puoi chiudere la bocca ai germogli, | non serrare le persiane a questo sole, | io ti guardo e mi bevo il tuo sorriso, | amica del caso, scoperta del cuore | che deve colmare la sua sera.“
„Per tante ore della notte il mondo tace abbandonato sotto lo stupore di mille stelle. Per altrettante ore tu ti adagi nel letto nudo di anima e corpo. Ritorni al tuo essere primo. Qualcuno ti legge i più segreti pensieri senza che tu lo sappia. Perché? A questo punto perché ti sei fermamente deciso a ricominciare domani? Vita nuova?“ (Rocco Scotellaro)
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