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Mafia: revocata la scorta a Valeria Grasso

«Inizieremo al più presto un’azione legale a carico dello Stato, non sono dal punto divista amministrativo, ma anche per capire e identificare le responsabilità in tutte le sedi». Così l’avv. Ezio Bonanni, legale di Valeria Grasso

«Vengo lasciata sola». Queste le parole di Valeria Grasso che si è ribellata alla legge del pizzo e ha fatto arrestare, come testimone di giustizia, i membri del clan mafioso dei Madonia, a Palermo.

È stato revocato, dal 23 novembre, il servizio di protezione da parte dello Stato senza alcuna motivazione.
Proprio lei che è stata “costretta” a vivere nella paura, come un fantasma, nascondendosi insieme ai i suoi tre figli per ben due anni, lontana da casa, sparendo, per proteggere sé stessa e i suoi cari. Protetta con il IV livello di rischio, già ritenuto insufficiente tenuto conto delle gravi minacce che ha subito, ora viene privata anche della possibilità di sentirsi “al sicuro”.

«Il comandante del nucleo Scorte, colonnello Luca Nuzzo, il 20 novembre scorso mi ha informata verbalmente della sospensione della misura di protezione personale a Roma, salvo confermarmi il dispositivo su Palermo, considerata “a rischio”, dopo che, solo il 12 marzo 2019, mi era stata confermata dal Prefetto di Roma Paola Basilone», afferma Valeria.
«Nella sua comunicazione scritta la Basilone aveva sottolineato che: “su proposta della scrivente, l’Ufficio Centrale Interforze per la Sicurezza Personale ha determinato che nei confronti della S.V. venga assicurata una misura di protezione personale… con validità su tutto il territorio nazionale».

La storia è iniziata quando Valeria Grasso, a 35 anni, ha deciso di aprire una palestra a Palermo in un quartiere, quello di San Lorenzo, già conosciuto per l’intensità mafiosa.
Preso in affitto il locale dalla moglie di Nino Madonia, si è ritrovata, da un giorno all’altro, minacciata, perché un esattore della famiglia mafiosa pretendeva che continuasse a pagare l’affitto anche a loro, dopo che l’immobile era stato confiscato per decisione del tribunale di Palermo.

La situazione, divenuta insostenibile a causa delle spese che doveva pagare non solo allo Stato, ma anche ai mafiosi, con tre figli da mantenere, spinse Valeria a cedere l’attività in gestione.

«Quelli, si sono presentati da me chiedendomi come mi ero permessa, senza il loro consenso, di prendere una simile decisione. O paghi per sempre, mi dissero, o chiedi i soldi all’affittuario e li dai a noi. Da vittima sarei diventata esattore. Se non lo fai, chi ha la palestra non avrà vita serena».

E così iniziarono le minacce, il terrore, lo spavento ma anche la fermezza di una donna che decise di fare la “cosa giusta”.
Non solo per sé e per la sua famiglia.
Dopo mesi di indagini si giunse alla condanna dei primi mafiosi, quattro del clan, tra cui Salvatore Lo Cricchio e Rosario Pedone.

Inizia per Valeria e per i figli una vera battaglia, che ha portato all’arresto di altri venticinque mafiosi e solo dopo due anni di protezione Valeria Grasso ha dovuto lasciare nuovamente la Sicilia per motivi di sicurezza.
Ha pagato un prezzo altissimo ma ha insegnato a molti che ribellarsi alla mafia non è che il primo passo per smantellare un sistema che ormai è radicato all’interno della comunità da troppo tempo.
Perché la mafia, insediandosi all’interno della società, ha tessuto la sua ragnatela espandendosi prima in maniera subdola e nascosta, poi venendo fuori in maniera evidente provocando stragi indimenticabili. E troppo spesso lo Stato non è stato capace di fronteggiare questo male, diventato un vero e proprio cancro che logora ancora oggi la società.

«Nell’epoca in cui il ministro dell’Interno è una donna e alla vigilia della “Giornata contro la Violenza sulle donne” vengo lasciata sola, anche nel mio impegno contro la criminalità e la mafia, che mi vede tutt’oggi in prima linea nella sensibilizzazione pubblica a sostegno della legalità e della giustizia perché, l’ho dichiarato più volte, mi sento una donna dello Stato piuttosto che vittima della mafia» – denuncia la signora Grasso che sottolinea: «e proprio quello Stato che ha ispirato il mio senso civico, con una condotta torbida, immotivata ed incomprensibile sta lasciando a rischio me e i miei figli, di cui una è ancora minorenne. Mi appello al Capo dello Stato e a tutte le autorità».
«Il mio sgomento – spiega – nasce anche dal fatto che, solo per citare l’ultimo dei fatti inquietanti avvenuti, il 6 giugno 2019 il mio compagno, titolare di una nota trattoria a Trastevere da oltre 20 anni, ha trovato una busta di plastica con un piccione morto sull’albero dove è posta l’insegna del locale, promessa di morte tipica della mafia».

Alle dichiarazioni della signora Grasso replica il suo legale, avvocato Ezio Bonanni, il quale ritiene che «il provvedimento di revoca della protezione alla Signora Grasso sia illegittimo per assoluta carenza dei presupposti di legalità. Abbiamo appreso solo verbalmente questa decisione – spiega il difensore – e, per tali motivi, abbiamo chiesto l’accesso agli atti lamentando la violazione del diritto alla partecipazione al procedimento amministrativo e chiedendo copia dell’atto finale con le relative motivazioni, il tutto dovuto per legge. Inizieremo al più presto un’azione legale a carico dello Stato – conclude Bonanni -, non sono dal punto di vista amministrativo, ma anche per capire ed identificare le responsabilità in tutte le sedi».

A cura di Ilaria Cicconi

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