LO SPORT AGLI SPORTIVI, MACERIE, SOLTANTO MACERIE ?
(Una riflessione di due anni fa nella prospettiva della riforma …)
Diciamo che un serio progetto sportivo per gli italiani fu solamente quello del dimenticato Lando Ferretti, che tra il 1926 e il 1928 ebbe la capacità di rivoluzionare il sistema, mettendo mano appunto alle macerie dell’associazionismo sportivo rottamato dal Fascismo e all’educazione fisica nella scuola, annichilita dai provvedimenti di Giovanni Gentile. Diciamo che se si volesse fare il punto zero della conclusione di uno spontaneo caotico divenire condizionato dal militarismo ottocentesco dei Savoia e poi esacerbato dal conflitto clerico-massonico tra oratori e ricreatori, da Don Bosco al Generale Garibaldi, dalla FASCI (Federazione delle Associazioni Cattoliche Sportive Italiane) alle reali società di ginnastica, con in mezzo le pulsioni popolari delle ASSI, della UOEI e dell’Umanitaria, per non parlare dello scontro sulla filosofia e sul metodo per l’attività “motoria” nella scuola, tra Mosso e Baumann a loro modo eredi di De Sanctis e Obermann, dovremmo convenire che appunto Ferretti, giornalista sportivo per vocazione e Presidente del CONI, nonché Commissario della FIGC per destino, è stato davvero un gigante. Capisco che sia scomodo tanto quanto l’affresco di Montanarini sul “lato presidenza” del Salone d’Onore, nella sede odierna del CONI, ieri sede dell’Accademia Fascista Maschile di Educazione Fisica, frutto della visione strategica di Renato Ricci che pensava di ricavarne anche i quadri di livello direttivo funzionali allo sviluppo totale del progetto di sportivizzazione italica attraverso ONB, GIL, GUF, OND, Federazioni e CONI con ruolo di coordinamento. Lasciamo perdere per un momento le polemiche dolorose su quel periodo di storia, ma concentriamoci sull’idea che ci debba essere un vero concreto progetto alla base di ogni possibile sviluppo nello specifico della pratica sportiva e prendiamo atto, che sulla base del compromesso tra Sport e Stato, di quella “Carta dello Sport” partorita tra Lando Ferretti e Augusto Turati (Segretario del Partito) appunto nel 1928, abbiamo l’unico esempio, l’unico precedente cui rifarci, con un bilancio di oltre dodici milioni di tesserati praticanti nel 1942, altro caposaldo legislativo per il nostro sport, dopodiché il buio, a cominciare dalla esclusione nella Costituzione del 1947, la cancellazione della ginnastica nelle “primarie” , oltre che lo sventato tentativo di “sciogliere” il CONI. Paradossalmente, proprio sulla questione di cui fu protagonista principale Giulio Onesti, nasce l’equivoco di cui oggi ancora soffre l’Italia sedentaria, obesa sugli spalti e davanti a televisori e computer, bulla, e violenta dentro e fuori degli stadi, cresciuta a merendine, salvo gli “unti dal signore” e i discepoli di “santoni” e “profeti” del post guerra come Gedda e Zauli, piuttosto che Berra e Nebiolo, figure che, come nel caso di De Sanctis e Ferretti, non occupano il giusto ruolo nell’immaginario collettivo e nemmeno tra gli addetti ai lavori, tanto meno tra chi oggi ha il compito di dirigere contemporaneamente il movimento e la macchina burocratico-organizzativa-tecnica dello sport. Ecco, dobbiamo prendere atto che aver lasciato in sospeso per settantuno anni il progetto nato novantuno anni fa, mai sostituito con un altro, è la ragione per cui oggi dobbiamo piangere su macerie antiche e apparentemente inspiegabili, come i mosaici in disfacimento al Foro Italico. Ecco perché oggi un Governo disinibito, sull’onda di un contratto per punti , al Capitolo 22 trova la via naturale all’esigenza di più sport praticato e salute, attraverso un diverso utilizzo delle risorse in Bilancio per lo sport e del CONI Servizi, che è nella disponibilità del Ministero dell’Economia e Finanze dal 1993, con aggiustamenti nel tempo sino al 2010, frutto di elaborazioni e patteggiamenti, gestita da dirigenti del Comitato Olimpico, con doppio incarico, sino al 2013. Ecco perché ho la sensazione di trovarmi di fronte alle macerie di quanto faticosamente, ma caoticamente abbiamo costruito intorno allo sport, sempre per non volerne riconoscere il ruolo sociale primario, piuttosto che quello di un simbolo formidabile dell’appartenenza in “maglia azzurra” e sul podio. Cari amici, comunque non dovete preoccuparvi del titolo, perché le macerie sono frutto di una mia personale riflessione, autoreferenziale, alla luce di quanto vissuto, degli accadimenti attuali e di quanto presumo ancora avverrà in questo periodo del tempo diverso. Non credo che vi possa turbare un ripensamento critico sulle intuizioni ed il lavoro, l’eredità d’incommensurabile valore che ci hanno lasciato gli antenati, a cominciare da quell’eccentrico di Domiziano, che tirò su uno stadio d’atletica al centro della Roma Imperiale e inventò i Ludi Capitolini per l’apparire, ma anche per coinvolgere nel partecipare, né più né meno quello che avveniva novant’anni fa allo Stadio dei Marmi con i Giochi della G.I.L., piuttosto che all’Olimpico con gli Studenteschi e poi di nuovo ai Marmi con i Giochi della Gioventù. Purtroppo, ad oggi, se non fosse per la testardaggine della Famiglia Tamburella, che lo ha liberato dal pattume e dall’oblio, i principali destinatari morali e materiali di tanta incommensurabile eredità storico-culturale, di tanta blasonata memoria dello sport, dormiente cinque metri sotto Piazza Navona, prossima a compiere duemila anni, la snobbano semplicemente perché ne ignorano il valore assoluto, insuperabile. Eppure, nutriamo velleità internazionali, invitiamo il Presidente Bach a svolgere il ruolo di nume tutelare del nostro Comitato Olimpico, tediato appunto dall’ennesimo soprassalto riformistico, collegato da un filo sottile ma resistente a quelle pulsioni che vedevano convergere sul tema Stato e Sport quelli che furono gli Enti di Propaganda Sportiva, oggi di Promozione, e che vedevano paradossalmente seduti allo stesso tavolo rappresentanti di sinistra e di centro, cattolici, comunisti, socialisti, socialdemocratici, liberali, repubblicani e missini, come Morandi, Guabello, Notario, Pastore, Catella, Carlo Alberto Guida, perché sull’idea che lo sport professionistico vero o mascherato, lo spettacolo, l’alto livello e la competenza olimpica fossero delegate a chi di dovere, alle Federazioni, alle Leghe, agli organizzatori ed al CONI erano davvero tutti d’accordo, tanto quanto sul fatto che lo sport andava inteso come diritto da rendere fruibile per tutti i cittadini, come prioritaria opportunità d’impiego del tempo libero, educazione motoria e sano stile di vita, onde concorrere naturalmente alla più elementare forma di prevenzione salute. Dalla fine degli anni quaranta alla metà dei novanta del secolo scorso, uomini illuminati ed animati da buone intenzioni ebbero dunque prima un interlocutore tenace ed intelligente in Giulio Onesti, che stemperò la difesa autarchica de “lo sport agli sportivi” con il dialogo e forme progettuali surrettizie ma tangibili di presenza nella scuola, nella società e sul territorio, dai Campionati Studenteschi, ai Centri Olimpia, ai Giochi della Gioventù, frutto di una ideale staffetta tra Zauli e Saini con la copertura politica strategica dello stesso Onesti, che frequentava la casa di Andreotti, come il Palazzo H, che non disdegnava refoli d’intesa particolari con l’area autonoma dei socialisti, nella consapevolezza che quella proroga della Legge istitutiva fascista del 1927, aggiustata nel 1942, costituiva un paradosso, un artificio al limite dell’impossibile nel contesto italiano post bellico. Eppure, tra un libro bianco, uno verde, uno rosso ed anche uno azzurro, Onesti riuscì a sfangarla per un bel numero di anni, dopo il capolavoro dei XVII Giochi a Roma, credito di cui si avvalse anche per ottenere la Legge Fifty Fifty, firmata da Giacomo Brodolini, che avrebbe dato più risorse e più opportunità per dare risposte anche di tipo sociale attraverso gli Enti di Propaganda e il CONI stesso. Ecco, la contaminazione tra promozione sportiva e mondo federale trovava un tacito assetto finanche nei congressi e – tramite gli enti – nei partiti e nel governo. Di tutto questo, degli slanci virtuosi, delle generosità profuse da missionari sportivi e comunicatori impareggiabili come Oriani e Brera, delle Leve de La Gazzetta dello Sport e del Corriere dello Sport, dal 1927 al 1944, come Il Littoriale, quotidiano legato al CONI per la lucida follia di un visionario come Arpinati, degli stessi Campionati Studenteschi e Giochi della Gioventù, del presidio territoriale del CONI articolato sulle Provincie non rimangono altro che mitizzati ricordi e polverose macerie rottamate nelle collezioni private e confinate nella Biblioteca del CONI creata nel 1933, arricchita con l’emeroteca da Zauli nel 1940 e dallo stesso Onesti con le acquisizioni straordinarie del 1950, quindi fin dall’inizio del loro operare, posto che poi il Museo Nazionale dello Sport Italiano, grande opportunità strategico culturale si è impantanato, dopo i reiterati tentativi di Pescante da Sottosegretario e Delegato CIO all’ONU, abortiti con tanto di commissioni di lavoro e piani di fattibilità nell’indifferenza delle istituzioni tra il 2004 e il 2015. E adesso? Adesso, il rischio che si corre è quello di arrivare all’ennesimo compromesso sbilenco, nel prendere tempo in attesa di qualche rigurgito della politica, come avvenuto negli anni ottanta per i progetti di Signorello e Lagorio, rischiando di compromettere quello che c’è, per avviare un tormentato processo di cambiamento, reso difficile da una informazione condizionata da interessi di prossimità. Diversamente, sarebbe auspicabile un evento straordinario, ma improbabile, che si potesse convocare una seria vera Conferenza Nazionale sullo Stato e lo Sport, senza interferire sulle competenze naturali del CONI, quelle stesse che si sono determinate con la nascita ormai lontana del CONI Servizi, quando migliaia di dipendenti di una ipertrofica unica struttura rendevano complicate le cose, quando l’eredità dei Campionati del Mondo di Calcio e degli investimenti in conto interessi per ristrutturazioni, quelli della Legge 65 del 1987 non sempre indispensabili o deturpanti degli stadi, come nel sofferto caso dell’Olimpico, era divenuta un peso insostenibile, scomodo, ormai passata la festa costata la bazzecola di 7.230 miliardi di lire (più di 6.000 provenienti dalle casse statali), in euro oggi 3,74 miliardi e la presidenza del CONI scippata a Primo Nebiolo , giusto il 12 novembre del 1987 nella notte dei lunghi coltelli di trentuno anni fa, quando per ragioni pelose si fece giustizia sommaria di una straordinaria opportunità o comunque di un percorso del CONI e dello sport italiano, probabilmente diverso da quello determinato sino ad oggi dalle forzata decadenza di Onesti nel 1978.