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L’ITALIA TAGLIATA – L’editoriale del Direttore Ruggero Alcanterini

Ma avete notato che il traffico in città sembra quello degli Anni Cinquanta del secolo scorso? Che le seconde file ai parcheggi sono sparite d’incanto? Che sportelli e negozi non ostentano file ? Beh, qui tutti tagliano. Dunque, mentre a Genova ostinatamente si ricuce, con il passaggio della prima auto sul nuovo Ponte di Piano, a Roma si taglia addirittura per ipotesi, dopo il briefing al Casino del Bel Respiro.Dal cuneo fiscale all’IVA, il balletto degli sforbiciatori si alterna alla quadriglia degli elargitori di bonus e redditi, al minuetto dei controllori, in un crescendo rossiniano di pronunciamenti e richiami, in vista degli election day del 20 – 21 settembre, in cui, tra il surreale e il reale, si metteranno in gioco parte dei governatori regionali e la sopravvivenza di un numero considerevole di parlamentari nazionali, con il referendum confermativo sul taglio, che ne ridurrebbe anche il relativo costo sin dalla prossima legislatura. Intanto si tagliano i voli con Linate chiuso e Malpensa al minimo, i posti con il distanziamento sui treni, che da Napoli in giù cambiano velocità e pelle. Il COVID 19 sembra anche lui ridimensionato da un drastico taglio e andare in vacanza, trasferendo la virulenza verso mete esotiche e imponendoci scelte autarchiche per l’incipiente estate. Insomma, passo passo, quatti quatti, stiamo trasformando il Bel Paese in un taglia e cuci di antica sapienza artigiana, in uno “Smart Working Land”. Con la formula dell’ognuno a casa sua e dell’ognuno per se e Dio per tutti, continueremo dunque per forza d’inerzia. Questa sembra essere la prospettiva ad un anno esatto da quanto scrissi, riflettendo sull’origine dei nostri mali attuali…

L’EUROPA, DALLA SPERANZA ALL’ANGOSCIA – E sì care ragazze e ragazzi, quando presi la direzione di INTERSCAMBIO, nel 1993, eravamo a cinque anni dalla caduta del Muro di Berlino, all’inizio della catastrofica “operazione tangentopoli”, di fatto ad oggi mai conclusa, in un continuo carosello tra guardie e ladri. Proprio in quell’anno iniziava il nostro calvario, con la nascita dell’inedito asse franco-tedesco, alla faccia del trattato di Roma che ci vedeva protagonisti sin dal 1957. Iniziava un processo di erosione della nostra stabilità, di isolamento, sino alla inevitabile fluttuazione della lira e all’avvio della nostra lunga interminabile caduta libera, giusto mentre partiva la rottamazione della Prima Repubblica, facendo di quasi tutti i partiti e della politica storica, dei fondamentali della nostra economia, degli stessi pilastri italiani alla base dell’Unione Europea, un unico fascio da gettare alle ortiche o meglio sul rogo. Così si rivelava la strategia di chi ci voleva ridimensionare, minimizzare, liquidando rapidamente la nostra intrapresa internazionale, chiudendo o svendendo quasi tutte le aziende a partecipazione statale, premessa per la cessione complessiva del brand italiano alla concorrenza. Passando per una isterica crisi di sistema, obtorto collo avremmo versato addirittura il “Contributo straordinario per l’Europa”, ovvero la bellezza di quattromilatrecento miliardi delle vecchie lire per rispettare il Parametri del Trattato di Maastricht, impegnati dal Governo Prodi nel dicembre del ’96 e pagati in nove rate mensili dai lavoratori dipendenti e in due trance dagli autonomi italiani l’anno successivo. Quella riduzione dello 0,6% del disavanzo statale di allora ci portò peraltro a mettere la testa sul ceppo predisposto da Kohl e Chirach, infatti i successivi aggiustamenti per l’entrata in funzione dell’Euro (1 gennaio 2002) segnarono definitivamente il nostro tracollo. Il cambio sfavorevole, il rifiuto di emettere l’Euro di carta, la decisione di partire dal valore di 5 (controvalore dei 10 marchi e dei 50 franchi) e la conseguente eliminazione di equivalenti per ben tre tagli delle nostre banconote in lire (1000, 2000, 5000) portò di fatto alla contrazione formale e sostanziale del valore della nostra economia, ad uno spasmo traumatico, ad una improvvisa aritmia del nostro benessere, riducendo drasticamente del cinquanta per cento gli stipendi, le pensioni ed i risparmi, mentre raddoppiavano le bollette, i biglietti della metro, il costo del cibo … Dire che siamo stati e continuiamo ad essere vittime di una truffa colossale è nel percepito, nella stato delle cose che conta in assoluto, senza se e ma, anche rispetto a tutte le criptiche spiegazioni degli economisti e al delirio della nuova politica. Il degrado, il crollo demografico, la scomparsa degli investimenti, la negazione del futuro, la guerra tra poveri, i ricorso alla svendita degli ultimi beni e riserve pubbliche testimoniano la negatività, se non la perversità di quel che accadde tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta del secolo scorso, il ventesimo, quello delle guerre mondiali e delle bombe atomiche, delle dittature e dei totalitarismi, del futurismo immaginario e della negazione del futuro reale con l’invenzione della plastica, il suicidio da amianto, l’industria senza remore sul fossile, lo sfruttamento intensivo e l’avvelenamento del Pianeta, l’inizio probabile possibile di una irreversibile catarsi socio-ambientale.

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