Ecco, mentre ci si misura al quadro svedese, piuttosto che al cavallo con maniglie della permanente polemica elettorale, ovvero in qualche modo sulla quantità del consenso reali ed ipotizzabili per coalizioni affastellate tra raggruppamenti di fortuna, partiti e movimenti di riferimento, impegnate nel gioco del “Rosatellum Ter”, nelle alchimie necessarie per tenere in piedi aggregazioni di maggioranza e opposizione, non posso esimermi dal ricordo di chi della politica aveva fatto una missione basata su principi ed ideali, sino a perderci la vita, piuttosto che la faccia, da Carlo Pisacane, ai fratelli Rosselli, a Giacomo Matteotti, allo stesso Aldo Moro, perché mi sembra chiara la linea di continuità tra le pulsioni che hanno determinato anche da noi prima l’unità post risorgimentale del Regno e poi la democrazia post fascista della Repubblica. Nei vari passaggi, tra cui due guerre mondiali e milioni di morti, ancora il primato della politica, quella degli ideali, che ha determinato anche la nostra straordinaria rinascenza tra il 1947 e il 1989 , frutto dell’impegno di menti illuminate, di uomini di straordinaria statura morale, disposti al sacrificio degli interessi personali per quelli della collettività. A prevalere era comunque la qualità, seppure distillata nei tortuosi meandri di una società civile tormentata da dubbi e aggredita da fattori inquinanti, che non escludevano malversazioni e terrorismo, sempre all’ombra di quella che convenzionalmente chiamavamo “Guerra Fredda”, ma che era pur sempre guerra e non meno pericolosa delle altre. Francamente, per chi come me ha dato un modesto apporto al lavoro di costruzione di quella che pensavamo essere la “Repubblica”, poi con avvilente superficialità declassata a “prima”, è davvero difficile considerare di qualità il livello della “seconda”, alla luce di quanto accaduto in questo frattempo. Diciamo che la linea di demarcazione tra il prima e il dopo, tra la prima e la seconda fase della nostra esperienza “laica”, riproposta nel 1942 per impegno e capacità dei campioni del civismo, dei genieri costruttori del pensare europeo, dei campioni dell’agire – ovvero degli “azionisti” come Federico Comandini, Guido Calogero, Ugo La Malfa, Mario Vinciguerra, Edoardo Volterra, Franco Mercurelli, Vittorio Albasini Scrosati, e Alberto Damiani attivi nella clandestinità – è da identificare con lo tsunami di un cambiamento epocale , con la caduta repentina del comunismo con tutti i suoi simboli ed armamentari finiti di colpo in soffitta. Quella caduta anche convenzionale del ”muro” , oltre trent’anni fa, paradossalmente legittimò nel clima della festa anche operazioni disinvolte , che cominciarono a determinare crepe e fessurazioni, squilibri e sconvolgimenti nel sistema dei pesi e contrappesi costituzionali italiani, tanto quanto di quelli della architettura della Unione Europea, tuttora ben lontana dalla Federazione, dagli Stati Uniti d’Europa immaginati da Mazzini e Spinelli. Quel che è accaduto non soltanto in Italia, ma soprattutto da noi, tra il 1992 e il 1994, ci ha segnato profondamente, come l’esito di un ictus da cui rimane complicato riprendersi. Adesso noi, poveri mortali persi nelle incognite del ventunesimo secolo, ci troviamo di fronte a scenari davvero sconcertanti, palesemente deviati e devianti, che meriterebbero l’espressione dantesca “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita.” Adesso è impensabile perdersi in minuetti sulla qualità del viaggio, mentre la nave affonda. Credo che la tendenziale rinuncia all’espressione del voto, negli ultimi anni, sia stata anche un vulnus grave per una società che ambisce a dichiararsi civile, il sintomo palese di uno stato di disagio profondo, determinato proprio dalla banalizzazione della politica e dei suoi protagonisti, dallo svuotamento dei contenuti e dallo stravolgimento continuo e disinvolto delle regole. La mancanza di qualità ne è la conseguenza, ma anche la causa. Sicuramente è venuto il momento di riflettere ed agire, indipendentemente da stucchevoli inutili sofismi. Penso che Il tempo degli eccessi di temperanza sia finito per lasciare il posto alla determinazione, alla concretezza e finanche al coraggio, appunto quello dell’agire, di governare se ci sono i numeri o di tornare alle urne in caso contrario, usando la bussola della ovvietà, ma anche del buon senso, recuperando i sani principi della giustizia sociale.