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L’editoriale del Direttore: OGGI AL FORO ITALICO, IL MOSAICO DELLO SPORT

Onestamente sono combattuto tra l’immagine del mosaicista alle prese con l’opera che sarà completa soltanto dopo la posa dell’ultima tessera e quella di Penelope intenta a tessere una tela senza fine. In effetti, la questione sportiva italiana – che oggi trova un momento storico di discussione nella conferenza degli Stati Generali, convocata dal Presidente del CONI, Giovanni Malagò – è storicamente rimasta aperta e controversa sin dalle sue origini in quel di Torino, nel 1833, con la chiamata del ginnasiarca svizzero Rodolfo Obermann da parte dei Savoia. Diciamo che il rapporto con il mondo variegato delle discipline sportive, le più diverse, dall’alpinismo alla ginnastica, dal podismo alla danza, dalla caccia, al calcio, al ciclismo… nel mondo della scuola, nelle palestre degli oratori, come dei ricreatori, con le più diverse associazioni originate da motivazioni sempre nobili, ma controverse tanto quanto le ideologie in politica, all’inizio lontane dal mondo olimpico, hanno finito per concentrarsi in un contesto autoreferenziale. Un mondo concluso, compresa la comunicazione, dove il calcio spettacolo e i massimi sistemi dell’olimpismo hanno finito per comprimere tutto il resto nelle marginalità di quel “Sesto Cerchio”, che si avverte come matrice reale di un fenomeno dalle dimensioni incommensurabili e che non può essere eluso, quello della pratica del gioco e delle attività motorie da parte di chiunque, a prescindere, come fattore sociale, educativo, culturale, salutistico, fondamentale per la qualità della vita, qualsiasi ne sia il livello economico. Ecco, dunque che la questione sportiva vista come straordinaria opportunità sociale diventa strategica, irrinunciabile per qualsiasi collettività che ambisca a considerarsi civile. Ecco quindi che gioco forza i governi se ne debbano occupare direttamente o conferendo deleghe. Nel 1878 Francesco De Sanctis ci dette un magistrale colpo in batteria, istituendo la ginnastica educativa nelle scuole del Regno, ma poi l’Italia, perse le opportunità di crescita proprio legate all’insorgente olimpismo moderno. Rimasta di fatto fuori dalle prime tre edizioni olimpiche da Atene a Saint Louis, passando per Parigi, tra il 1896 e il 1904, la presenza italiana si fece sentire concretamente a Londra nel 1908, con fuoriclasse come Braglia , Lunghi e Porro, ma soprattutto lasciando il segno con il mitico Dorando Pietri nella maratona, non vinta formalmente ma stravinta moralmente. Ecco, quello del 1908 fu il primo anello o se preferite nodo tra politica e sport, di una catena destinata ad aggrovigliarsi e a spezzarsi mai, nonostante diversità di opinione trasmesse dai mentori Angelo Mosso ed Emilio Baumann, le frenate degli scettici Nathan e Gentile, l’entusiasmo dei promotori Ferretti e Turati, il coraggio di Zauli e Onesti, l’inadeguatezza della politica dei governi della prima e seconda Repubblica, nonostante Brodolini, Andreotti, Signorello, Lagorio, Veltroni, la miopia e l’egoismo dei media e del mondo sportivo, che oggi impattano un atteggiamento improvvisamente diverso dei politici e del Governo della terza Repubblica. L’algoritmo delle legislature abbreviate dalle crisi, aveva sin qui impedito che proposte e disegni di riforma del compromesso sullo sport, nato durante il Fascismo, nel 1928 e assestato nel 1942, arrivassero al traguardo, salvo il correttivo Melandri del 1999 con gli aggiustamenti a colore del 2002 e 2004. Adesso, i mosaicisti riuniti nel Salone d’Onore, i rappresentanti dello sport attivo in quasi tutte le sue componenti, salvo quella principale, quella dei milioni di cittadini che svolgono attività fisica in sostanziale autonomia, convitati di pietra che continuano ad attendere risposte, hanno oggi l’opportunità di abbozzare il completamento di un’opera rimasta inconclusa per quasi due secoli, senza un progetto generale definito e definitivo, in mancanza del quale ogni cambiamento di cartello in ditta, innovazione di carte federali e di programmi ministeriali, candidature ad eventi non sortiranno altro che un eterno rintocco di campane a fronte di un continuo suonar di trombe.

Ruggero Alcanterini

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