Se qualcuno pensa che tagliarsi i ponti alle spalle sia una soluzione, sappia che in Italia, stante la sua particolare crespatura orografica, compresi i viadotti, tra piccoli e grandi ce ne sono all’incirca un milione e mezzo di cui, quelli “monitorati”, come lo era lo stesso Ponte Morandi, sono appena sessantamila. Le competenze sulla nostra rete stradale, dopo la ricostruzione e la gestione post Seconda Guerra, con l’ANAS, dal 1946 sino al 1993, per la deflagrazione di Tangentopoli, si sono ulteriormente polverizzate, dopo che la regionalizzazione e le concessioni a privati, piuttosto che la dissoluzione delle Amministrazioni Provinciali, portassero allo stato attuale delle cose, ovvero ad un pericoloso caos di competenze. Attualmente l’ANAS, passata nel 2018 nel Gruppo delle Ferrovie dello Stato, controlla soltanto ventiseimila chilometri della rete, con undicimila ponti e viadotti, di cui quattromila sviluppano oltre cento metri di lunghezza, per non parlare delle gallerie (566 soltanto nelle reti autostradali a pedaggio per circa 5.600 km). Dal 2013, i ponti crollati, con morti e feriti, sono stati dodici e la prospettiva futura non promette niente di buono, perché i manufatti sono datati e di migliaia non se ne conosce la proprietà, quindi la responsabilità e la competenza, che scattano sempre e soltanto con l’emergenza, a disastro avvenuto e quindi con i pompieri, la protezione civile e i pronto soccorso. Esiste un contenzioso nebuloso, un convitato di pietra o se preferite di cemento, non risolvibile in via ordinaria e secondo l’ANAS i viadotti senza alcuna manutenzione – appunto per la mancanza di un gestore identificabile – sono addirittura 1425. Ecco dunque che, paradossalmente, la disputa sulla esclusione di Atlantia e dei Benetton dalla gestione di Autostrade, piuttosto che dal Ponte Piano a Genova, rischia di divenire una sorta di inutile ossimoro o se preferite una pur giusta affermazione di principio morale, ma comunque una “vittoria di Pirro”, rispetto a quella che è la vera sfida, il recupero di una situazione da decenni allo sbando. In realtà, tornando a quel che intendevo e intendo rappresentare con “ il coraggio di governare e rompere gli schemi “, occorrerebbe riassumere l’operatività di Governo per coordinamenti generali e complessi, piuttosto che spacchettare, riassemblare e spingere la polvere sotto i tappeti, perché non si può continuare a confidare nella buona stella, passando il cerino nelle mani di coloro che verranno. Questo vale per molte altre situazioni e voglio richiamare anche il tema dello sport, perché tagliati i ponti con il vecchio ordinamento, rivoluzionare empiricamente ruoli e competenze potrebbe costituire anche una opportunità adrenalinica, l’occasione per recuperare originarie vocazioni e capacità di autofinanziamento e gestione, motivazioni sociali di alto valore, oltre i podi e le medaglie, purché la politica non eluda le sue responsabilità e che si coordini secondo logica, creando una sinergia permanente, ragionata, almeno tra i Ministeri dello Sport, della Salute e dell’Istruzione, perché i ponti hanno un senso e una funzione, purché si realizzino e poi non crollino.