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L’editoriale del Direttore: LA NOBILTA’ DEL LAVORO, PER VIVERE E NON PER MORIRE

La mia storia, giusto negli anni sessanta, si è incrociata significativamente con quella di Giacomo Brodolini, noto per essere stato con Gino Giugni il fautore dello storico Statuto dei Lavoratori. Era il novembre del 1962 e lui con Matteo Matteotti, figlio di Giacomo, aveva appena firmato un atto dal notaio, dando vita all’Associazione Italiana Circoli Sportivi, un segmento di vitalità positiva, di progresso scaturito negli anni dello sviluppo, cresciuto sino al milione di tesserati di oggi, a dimostrazione che lo spirito socialista ispirato alla giustizia sociale non è mai venuto meno, anche dopo decenni ammalorati dalle muffe della disinformazione e del cinismo speculativo finalizzati al profitto, passando per il sovvertimento ideologico. Sì, direi senza mezzi termini che l’alea di pericolo che incombe sul lavoro, che lo rende insicuro, che vanifica gli slanci per renderlo nobile, è determinata dall’inesorabile prevalere dal primato di chi sul lavoro specula. Ecco, dunque che l’insicurezza e le morti, le invalidità, che fanno divenire finanche eroe chi ha l’opportunità di approdare a quello che per la nostra Costituzione è un diritto basilare, hanno un comune denominatore, quello che unisce nella mia riflessione chi muore in una azione di soccorso, come i tre vigili del fuoco ad Alessandria, piuttosto che le migliaia di vittime delle polveri d’acciaio a Taranto. Siamo di fronte, non c’è dubbio, al rischio insito in attività di frontiera, di per se usuranti, ma non necessariamente tali da dover interrogare quotidianamente la cabala, se a monte ci fosse un diverso approccio con le marginalità sociali o si investisse in priorità come la difesa ambientale. Diciamo pure che molte disgrazie sono di fatto annunciate e questo vale per le fasce fragili, vittime dello spaccio, piuttosto che per commercianti, forze dell’ordine, automobilisti e pedoni, cittadini ignari di respirare amianto non bonificato pressoché ovunque. Ecco, perché, mi ripeto sull’esigenza che si abbia il coraggio di governare, facendo scelte di prospettiva, di cambiamento anche radicale, avendo come fine il vero benessere della collettività. In definitiva, garantire a tutti opportunità di lavoro in condizioni di sicurezza ed equità era la molla che sospingeva proprio il mio Presidente di cinquantasette anni fa che, da sindacalista, politico, parlamentare, statista e ministro, trovava pure la fantasia e il tempo di riunire uomini ed ideali intorno al tema dello sport per tutti, come espressione alta della cultura popolare, recuperando gli enzimi delle ASSI e dell’UCSI, attivando sognatori e visionari come Probo Zamagni ed Enrico Guabello, tendendo la mano a genieri dell’italica rinascita, come Giulio Onesti. Insomma, per concludere, il ruolo finanche perverso dell’economia, il gioco anche disinvolto della politica e del governo non possono prescindere dalla lealtà, dalla onestà intellettuale e dalla correttezza, quindi dalla necessità di affrontare alla radice i veri problemi, senza infingimenti, sempre che si voglia evitare il paradosso di lavorare per morire, come ad Alessandria, come a Taranto…

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