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L’editoriale del Direttore: LA DIFFERENZA E L’INDIFFERENZA

Non è per un gioco di parole, ma per i valori in gioco, che senti insorgere la ripulsa, pari all’amore che porti per quel che ti circonda e fa di te quel che sei. Ieri, a pochi passi dalla caduta di Giulio, il primo dei Cesari che vide annegata nel sangue la sua meritata gloria, ho provato lo sdegno e così l’amor patrio nel vedere l’ingresso del glorioso Teatro Argentina, chiuso per il “Corona”, trasformato in ribalta per “punkabbestia”, luogo di puntuale rappresentazione della disinvolta sciatteria o meglio del menefreghismo di chi dovrebbe tutelare l’immagine del Paese, che giustamente reclama adesso più che mai rispetto. Quella situazione era ed è la rappresentazione della indifferenza suicida di una collettività che ben conosce il valore della propria storia e dei beni materiali che la rappresentano. Dunque l’indifferenza che fa la differenza. Ma tant’è. La melanconica rassegnazione al male nella supposizione che non sia il peggio, lascia le banchine del dio Tevere costellate di brandelli di plastica, di rifiuti, rami e tronchi incastrati nelle occhiaie del millenario Ponte Fabricio, Quattrocapi per l’erma multifronte che ne difende l’accesso, verso l’Isola Tiberina. Chi, seduto sul marmoreo ciglio, guarda rapito la corrente, non ha una canna da pesca, ma una consolatoria bottiglia al fianco. Eppure, basterebbe volere e quindi potere, reclamare il minimo del decoro nella propria e nell’altrui coscienza. Purtroppo non è così e le tessere di questo mosaico in disordine si ripetono all’infinito nel tempo e nello spazio con paradossale accanimento proprio nei luoghi sacri al sentimento. Ecco, l’indifferenza che fa la differenza.
251 – SENZA FRENI ( 17.11.16)
Esiste una Italia dove andar non temi
Ma dove rischi a girar senza freni
Piloni con strade appiccicate alla costa
Montagne stregate che apron la crosta
Guardi le ruspe e gli operai
Come formiche sui formicai
Grande degrado e molto decoro
Tengono insieme lo schifo con l’oro
Se necessità diviene virtù
Giusto il privato ci tiene quassù
Ci ricordiamo con vaga memoria
Quanto era bello vagar nella storia
Stupire ed apprezzar le grandi imprese
Intorno al campanile d’ogni paese
Or che si sgretola l’onor della festa
Rimaniamo attoniti e scuotiamo la testa…

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