Vi ricordate quando qualcuno scampanellava per riscuotere la mancia in cambio del Buon Ferragosto? Altri tempi, secondo un’usanza , anzi un obbligo introdotto nello Stato Pontificio, dopo che la Chiesa Cattolica aveva spostato il giorno di riferimento a quella che fu la porta di un intero mese dedicato al più amato tra gli imperatori, Augusto. Infatti, si trattava del primo giorno e non del quindicesimo, quando invece ricorre l’assunzione in cielo di Maria. Dunque, il mese di augusto, agosto, dedicato alle feriae, alle vacanze dal lavoro, alle feste popolari nelle più diverse declinazioni, dalle scampagnate al mare ed ai monti con cibi al sacco, ai soggiorni durevoli sempre più rari, agli eventi di grande portata emotiva, dai Giochi Olimpici quadriennali alle vinalia rustica, feste del vino, ai palii, corse con i cavalli, che da sempre esprimono il massimo del coinvolgimento popolare per fazioni, come capitava a Roma con i berberi e come capita a Siena con le contrade. Questo è dunque il periodo in cui da tempi remoti si tende naturalmente al desio delle spiagge assolate e al refrigerio del mare, che orienta le genti di Roma e del Lazio a sud del Tevere verso quella che fu la meta preferita dei Cesari, appunto quella che noi amiamo chiamare Costa Imperiale, il Litorale da Castel Fusano a Torre Astura, dalla Villa di Plinio a quella di Cicerone, passando per Torvajanica, Ardea, Tor Caldara, la Villa-porto di Nerone e il Forte Sangallo di Nettuno, lungo l’asse della via delle delizie, la Severiana.
Della Pineta di Castel Fusano, nel 1775, giusto nel punto distrutto dall’orribile infinito rogo del 2017, il bernese Carlo Vittorio de Bonstetten, impressionato dalla sua maestosità, prendendo spunto da Virgilio (Silva fuit late dumis atque illice nigra,Horrida, quam densi complerant undique sentes:Rara per occultos lucebat semita calles.) scrisse: “L’ombra dei grandi pini, che si posa lieve sul suolo, non è simile a nessuna ombra: si passeggia tra i rami giganteschi di questi alberi, come tra colonne; e, benché si sia in un bosco, si vede ovunque il cielo e l’orizzonte, e l’occhio si riposa dolcemente come sotto un velo di garza, in una luce che non ha né il nero dell’ombra, né lo splendore del sole. Bisogna alzare il capo per scorgere il leggero parasole, aperto nell’aria tra cielo e terra.”
Bene, questa è l’immagine idilliaca con cui, ancora una volta, vorremmo sfuggire al senso della realtà, anzi alla vera, nuda e cruda realtà, fatta di accadimenti frutto della negligenza e della incapacità, dell’ignoranza e della rassegnazione. Voglio ricordare le continue trasgressioni alle regole che vorrebbero rispetto proprio per i territori in cui vorremmo godere pienamente delle nostre opportunità di riposo. Dalla catastrofe di ECO X allo scempio della Pineta di Castel Fusano, alla discarica tossica scoperta ad Aprilia, alle contaminazioni da amianto e uranio impoverito, al delirio delle discariche abusive, dei rifiuti abbandonati ed il verde inselvatichito, alle buche stradali di ordinario degrado… Qualcuno potrebbe ancora pensare che si tratta di casualità o attribuire le responsabilità unicamente al dolo di natura criminale o psichiatrica. Ma, ahimè, non è così, perché in ogni caso insistono pesanti corresponsabilità di governo, ovvero di chi dovrebbe gestire, manutenere, sorvegliare, coinvolgere i cittadini nella vigilanza passiva, rendendoli partecipi e responsabili di un bene pubblico e quindi di tutti. Basta percorrere qualsiasi strada di città o di campagna per vedere in quale stato è ridotto appunto, il territorio comune, irrimediabilmente compromesso e infarcito di immondizia. Per altro verso non ci risulta che questa sia una semplice fase di pausa, magari di riflessione dedicata a pulsioni progettuali. Macché, l’aria dell’ognun per se e Dio per tutti è addirittura diventata una chimera, perché siamo passati inesorabilmente al tutti contro tutti e per questo, basta seguire le liti da cortile in atto sul tema dell’acqua in esaurimento, piuttosto che sulla prevenzione incendi. In realtà qui nessuno riesce a fare più il proprio mestiere, magari di amministratore locale, mentre altri sono letteralmente scomparsi e penso finanche ai forestali, come ai cantonieri , ai fontanieri o ai semplici ma assolutamente indispensabili scopini. L’impressione è che la nostra società si sia rincitrullita e che accolga qualsiasi insulto, anche il più grave, come se nulla fosse, con una alzata di spalle. Eppure, i segnali che arrivano sono iperpotenti… E allora ? Allora torniamo al tema del ferragosto, prendendo spunto da chi ne ha scritto in tempi coevi e sicuramente è più illuminato di noi. Intendo riferirmi agli impareggiabili Moravia, con Scherzi di Ferragosto da Racconti romani, Cassola con Ferragosto di morte, Jemolo, con Scherzo di Ferragosto, Olivieri con Maledetto Ferragosto, Crovi, con Ladro di Ferragosto, Cevoli con Mare mosso, bandiera rossa: Ferragosto a Roncofritto, Camilleri con Notte di ferragosto, Ricci con Ferragosto addio!, Vitali con Enigma di Ferragosto…
Oppure? Oppure, ci vogliamo affidare alla saggezza popolare , con proverbi ammiccanti come: agosto moglie mia non ti conosco; agosto ci matura il grano e il mosto; chi dorme d’agosto, dorme a suo costo? Diversamente, davvero raziocinante e in clamoroso conflitto con il cambiamento climatico, il detto : “Il grano freddo di gennaio, il mal tempo di febbraio, il vento di marzo, le dolci acque di aprile, le guazze di maggio, il buon mieter di giugno, il buon batter di luglio, le tre acque d’agosto con la buona stagione, valgono più che il tron di Salomone”.
Ruggero Alcanterini