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Editoriale

L’editoriale del Direttore: “Questi fantasmi dello sport”

Improvvisamente l’angoscia e sinanche il dolore. Sì, quello che da tempo non provavo e che con il passare delle ore mi cresce dentro, mi affolla cuore e cervello… Improvvisamente, questa notte, sono finito tra le 351 pagine di “GIOCHI, TORNEI E SPORT”, catalogato al numero 4682 della mia collezione libraria in comodato all’ALTIS, il Centro Studi che supporta culturalmente le attività del CNIFP, il Comitato Nazionale Fair Play che, con altre diciotto associazioni “francescane” compone la pattuglia che promuove valori certi dello sport italiano, prevalentemente di profilo morale, educativo, culturale. Ecco, che per aver colto verso l’una del mattino un segnale particolare, un appello, un grido proveniente da un frammento d’affresco di Paolo di Visso sulla Giostra della Quintana nel 1492, nobile invitante ornamento d’una copertina, sono piombato in una sorta d’incubo. Per quel che sono riuscito a percepire prima di crollare in un sonno tormentato, nel 1998, il 2 e 3 ottobre, a Fermo e Porto San Giorgio, andò in onda il Convegno Nazionale SPORT, ARCHIVI E MEMORIE, DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ CONTEMPORANEA. Tutt’altro che uno dei tanti appuntamenti autoreferenziali, ma una iniziativa nata sulla scorta della considerazione nell’Agenda degli Archivi di Stato del 1996, che : “… pur rivestendo un ruolo pervasivo nella società attuale, in Italia lo sport non ha ancora trovato un suo posto specifico nel dibattito storiografico nazionale; infatti è stretto tra il sostanziale disinteresse del mondo accademico e una letteratura sportiva di consumo. Lo Stato ha dimostrato nel passato un sostanziale disinteresse per il controllo di un’attività di cui andava comunque preservata la memoria, se si esclude il periodo tra il 1925 e il 1943, per il quale abbiamo una consistente documentazione presso l’Archivio Centrale . Lo sport è attività rilevante, ricca di elementi di valore storico che negli ultimi decenni (adesso settantacinque anni) sono rimasti affidati alla discrezionalità di enti pubblici e privati, quindi a forte rischio di dispersione, pena il venir meno di un importante tassello della nostra storia generale. Questo, in sintesi, quello che motivava un Evento che vide pubblicati gli atti soltanto sette anni dopo (nel 2005) e che richiamava l’attenzione sul vulnus oggi ancora più grande, perché nel frattempo l’appello al recupero del sopravvissuto e l’ipotesi della costituzione del Museo Nazionale dello Sport non si sono realizzati. Ecco, perché questa notte ho convissuto con le pulsioni della memoria, con le schegge di un parzialmente vissuto, che ho ben conficcate nella mia memoria ahimè a rischio di labilità e mi sono chiesto come sia possibile che non esista almeno una mostra permanente, una vetrina degna di quel grande appuntamento con la storia, che furono i XVII Giochi Olimpici a Roma, rimasti visibili tra gli scatoloni dei collezionisti, ma non nei pur ampi spazi di cortesia dello stravolto Stadio Olimpico, dove turisti e scolaresche in visita potrebbero almeno godersi il trailer de “La Grande Olimpiade” di Romolo Marcellini, emozionarsi che so con il giuramento di Consolini e con il finale vincente di Berruti, piuttosto che con la pugnace eleganza di Benvenuti, brandire la torcia che fu di Peris e simulare l’accensione del fuoco sacro d’Olympia proprio lì, dove l’umanità stabilì un fondamentale crocevia del divenire, appena quindici anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, mentre l’Italia rinasceva. Ho ripreso tra le mani quella raccolta di testimonianze su Giochi Tornei e Tradizioni dal sapore antico nei secoli, tra le Marche e l’Umbria, capendo, con un tuffo al cuore, che cosa intendesse in realtà fare anche per noi, per me che l’ho conosciuto, il vecchio gentile notaio Mauro Bracciolani , che aveva tenuto sugli scudi per mezzo secolo l’atletica ad Ascoli con l’ASA, al di la dei podi, per la cultura e la civiltà dell’essere diversi attraverso i valori dello sport, la cui comprensione deve essere agibile e profonda. Onestamente, in questo momento di grande incertezza, mi sento davvero smarrito e anche in colpa, come colui che rimasto a terra vede allontanarsi inesorabile il vascello carico delle proprie fantasie, passate e future.

Ruggero Alcanterini

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