Gira che ti rigira, siamo condannati a vivere di rendita, sì dell’eredità forse immeritata che ci hanno lasciato i visionari, Ricci, Del Debbio e Moretti, che di un pantano a valle di Ponte Milvio hanno fatto un luogo delle meraviglie. Il Foro Mussolini/Italico è stato oggetto per il secondo anno consecutivo di una analisi attenta e rivelatrice di dettagli, magari inediti o relativamente conosciuti, dissepolte immagini svelanti una manifattura artigianale, fatta di pale e picconi, di antica sapienza e materiali nobili per una creazione dalla vocazione non effimera, destinata per dichiarazione di Ricci (1937) ad ospitare i Giochi, perché il Foro sarebbe stato unico degno di tale ruolo. I Giochi Olimpici arrivarono soltanto nel 1960 e la si spuntò per un solo voto contro Losanna, a Parigi nel 1955 (la candidatura era stata presentata a Copenhagen nel 1950). Il Foro ruba la scena a San Pietro dal lato sinistro del Mons Malus (vi fu trucidato a tradimento Crescenzio) poi addolcito in Monte Mario, guardando il dispiegarsi del Fiume e l’area flaminia sull’altra riva, finalmente congiunta anche dal secondo ponte previsto, quello della Musica (un omaggio all’Auditorium di Renzo Piano) con tutto il suo patrimonio museale storico culturale (Maxxi, Etrusco, Arte Moderna…) e sportivo olimpico, col Palazzetto dello Sport e lo Stadio Flaminio, però abbandonati e in avanzato stato di fatiscenza. Imperdonabile vulnus l’assenza del Museo Nazionale dello Sport, inutilmente anticipato con grandi mostre a Milano (1935) e Roma (1960) ma avremo modo di tornare sull’argomento, visto che qualcuno accarezza l’idea di rilanciare l’offerta turistico culturale di Roma, proprio ripensando all’insieme di un incommensurabile patrimonio giacente , che abbisogna però di coordinamento e valorizzazione. Dunque, torniamo ai marmi spezzati ed ai mosaici sgretolati di quello che fu il Foro del Duce e che si accinge a vederne di belle, posto che si annunciano trasformazioni ed adeguamenti in funzione del business, tali che non mancheranno di aggiungere stress ad un complesso nato per essere usato, ma anche rispettato nella sua originalità. Francamente siamo sempre in attesa che qualcuno annunci la bonifica di quel che rimane dell’insultante Aula Bunker, ameba intrusa nella Casa delle Armi, che si curi di un dovuto accurato restauro di tutto quel che sta andando in rovina e che assicuri la regolamentazione per una giusta fruizione di un bene culturale unico al mondo, di cui già troppo si è abusato ed ancora si vorrebbe. Onestamente, però, dobbiamo essere pessimisti, posto che progetti di copertura ed ampliamento di strutture funzionali allo spettacolo non soltanto sportivo sono di parecchio avanti, mettendo in discussione quel che sembrerebbe si dovesse a suo tempo fare, razionalizzando progetti e programmazioni su Foro Italico e Flaminio. E poi ? Poi, nel super convegno organizzato da Bugli e Vollaro per SCAIS in collaborazione con Maffei per AMOVA, l’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, nonchè l’Istituto per il Credito Sportivo, si è rivangata un po’ la storia e su questo ho avuto modo di ricordare, con Fabio Argentini, che Roma ha rischiato addirittura la follia della sovrapposizione di una “moderna” struttura nella cavea del Circo Massimo (proposte di Lucchini e Compans nel 1907), che lo Stadio Nazionale “more greco” di Piacentini e Pardo ( poi del Partito Fascista e Torino, prima di essere Flaminio, era già nella disponibilità del Comune, come oggi appunto è il Flaminio, anche allora gestito con non pochi problemi dall’Istituto per l’Educazione Fisica – INEF) erede in linea praticamente diretta del Domiziano, tuttora sotto Piazza Navona e anticipatorio dello Stadio dei Marmi. E poi? Poi la verità vera sulla scelta del Totocalcio per finanziare il CONI, ovvero un modo consigliato da Einaudi e Andreotti per garantire l’autonomia , per non dipendere dalla politica, come invece sarebbe capitato con il mefistofelico contributo diretto dello Stato. Il Palazzo H, oggi nella disponibilità dell’Università di Scienze Motorie, come ieri dell’Accademia Nazionale di Educazione Fisica, fu recuperato da Onesti definitivamente nel 1952, dopo la salvifica occupazione delle forze angloamericane sino al 1948, la trasformazione in Hotel Felix per l’Anno Santo del 1950 e la riunione dei vertici del Patto Atlantico presieduti da Eisenhower (1951). Lui, Onesti, che con Zauli, Saini, Garroni, Fabian, Mazzuca, Chamblant, Favre, aveva fatto miracoli per mettere in piedi, tra il ‘56 e il ’60, addirittura due Eventi Olimpici a Cortina e Roma, che hanno lasciato il segno nella storia sociale di Roma e del Bel Paese, lui che all’esordio, una volta eletto Presidente, nel 1946, si era arrangiato in qualche stanza di un vecchio albergo tra piazza Venezia e il Quirinale, il Luxor, lui che, quando nel 1978 ricevette dal TAR l’ingiunzione di lasciare dopo trentadue anni la Presidenza, non fece una piega, annunciando ad amici e giornalisti in attesa della sentenza, che i tramezzini da consumarsi di lì a poco sarebbero stati cibo dell’ultima cena, quella del suo mandato, lui, Onesti, si dimise senza por tempo in mezzo per evitare il Commissariamento dell’Ente, passando a Carraro il testimone che gli suggeriva ormai da tre anni la Tedofora di Emilio Greco, trasferita dal PalaEur nella hall d’ingresso del Palazzo, andando temporaneamente a condividere una stanza d’ufficio con De Stefani, senza fare una piega. Quello non fu soltanto l’inizio della fine fisica di Onesti, ma di fatto la catarsi di un’epoca virtuosa, irripetibile, in cui il sacrificio e la passione profuse erano di gran lunga superiori a prebende e privilegi. Un periodo bellico e post bellico, primo repubblicano, dello sport italico, in cui nessuno staccava mai la spina e i risultati sinergici con il sociale erano voluti e palesi, ancorché progettualmente sofferti, dalla scuola degli studenteschi, alla promozione con gli enti espressione di partiti e chiesa, ai Giochi della Gioventù con i Comuni, all’impiantistica sostenuta dal credito sportivo, alla formazione dei buoni maestri di sport. Insomma, eravamo alla conclusione di un capitolo, mentre già se ne apriva un altro, quello che ancora stiamo scrivendo, dagli esiti incerti, imprevedibili tanto quanto il futuro del Foro alle prese con diaboliche tentazioni , in continua metamorfosi, tra passato e futuro, in crisi d’identità, tra le lusinghe del marketing e la cinica realtà del business.