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L’editoriale del Direttore: IL COVID CHE MIGRA

Sembra proprio che il vento pandemico tenda a rialzarsi. L’impressione è che molto dipenda dai nostri comportamenti, dalle fibrillazioni che finiscono per insorgere, anche nelle più compassate comunità. Quando si parlava e si parla di seconda ondata, in realtà s’intende la possibile conseguenza di un rilassamento comportamentale. Ergo, l’idea di dover tornare il più presto possibile e ad ogni costo alla normalità confligge con lo stato delle cose e non è certo la migliore. Peraltro verso, visto il crescente sentimento di rivolta dentro e fuori le strutture dove si affollano e da dove fuggono continuamente i migranti, non è possibile accettare supinamente che qualcuno abusi della nostra bonomia e della nostra tolleranza, aggravando una situazione sociale di per se già pesante. Sembra che tutti coloro che approdano sulle nostre coste non intendano rimanere sul nostro territorio e tanto meno sostare negli stracolmi hotspot. Che quasi tutti ambiscano a trasferirsi in altri paesi europei con preferenze per il nord. Ma allora, visto che vengono raccolti da missioni ONG di altri paesi, quelli in cui intendono trasferirsi, perché non canalizzarli con salvacondotti rilasciati a bordo dagli stessi paesi di riferimento delle ONG in questione? Lo stratagemma delle navi quarantena non può reggere a lungo e tanto meno il bonus “porto franco” rilasciato a Lampedusa. Il vero problema è che i paesi di cui s’intende non hanno la vocazione all’accoglienza, ma solo quella al salvamento. Credo proprio che la questione sia da porre in ambito comunitario e che lo si debba fare in termini drastici, salvo rivedere il ruolo internazionale della stessa Europa, attualmente equivalente a zero.

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