Ecco che, dopo fioriture ingannevoli e speranze disattese per stagioni e stagioni, quelle del tempo avverso, giunge il bagliore del divino, quello che ben sappiamo riconoscere, ma che non sempre sappiamo accettare. Ieri, a Madrid, Filippo Tortu ha dato il cambio a Pietro Mennea al vertice della tabella dei record sui cento, correndo ancora una volta in modo talmente perfetto, quasi da non destare tensioni emotive, incertezze, salvo stupirci con il risultato storico di 9.99, alle spalle del cinese Bingtian Su. Dunque, il pensiero va a chi lo aveva preceduto nel 1979, a Pietro Mennea che quel record di 10.01 aveva conseguito con la combinazione chimica della rabbia e della forza, tanto quanto l’oro olimpico sui 200 a Mosca, l’anno dopo. Vi verrà da ridere, ma io credo nel valore olistico del nome e del cognome, del fatto che non è casuale il comportamento di chi confida nella propria appartenenza, nel bene e nel male, di chi si porta dietro o mette avanti i propri segni distintivi come un blasone, una bandiera o come un grido di sfida, aggiungendo magari un nomignolo, come accadde per l’omerico Achille, detto “piè veloce”. Nel caso di Filippo, convenzionalmente Pippo, il cognome Tortu è più breve, più folgorante del saettante Mennea e ben più sintetico di quello di Berruti. Poi, veniamo alle latitudini ed ai genitori… Non c’è dubbio che Pippo, di origini sarde, possa vantare un vantaggio straordinario sul pugliese Pietro, per via di una partenza nella milanese Riccardi ed una assistenza senza disomogeneità tra il geniale padre allenatore ex sprinter, Salvino, la solidità dell’attuale società di appartenenza (Fiamme Gialle) e la FIDAL, con la supervisione di Elio Locatelli e la tutela del Presidente Alfio Giomi. Se per Livio Berruti, icona e star dei XVII Giochi di Roma nel 1960, simbolo della rinascita italiana negli anni della “dolce vita”, madre natura fu generosa ed altrettanto amorevoli furono Bruno Zauli e Peppino Russo, così non fu per Mennea, che dovette superare enormi difficoltà esistenziali e tecniche, federali, prima di essere accettato ed accolto, per meriti sul campo, durante gli “Europei” di Helsinki nel 1971, con buona pace di Carlo Vittori. Allora, torno al titolo e passo a Gianmarco Tamberi, figlio del suo allenatore Marco, nostro straordinario campione del salto in alto in fase di recupero , dopo l’incidente tendineo che da due anni lo tiene fuori dai vertici, per arrivare alla quindicenne Larissa Iapichino-May, che con tanta premessa genetica ha già saltato ben quattordici centimetri più della madre alla stessa età (6,38 contro 6,22). Infine, tornando a Pippo Tortu, ventenne velocista azzurro candidato ad una stagione senza pari, al podio negli Europei di Berlino, piuttosto che a quello dei Giochi del Mediterraneo a Tarragona o ad un nuovo limite sui duecento al Meeting di Montecarlo (da battere il 20.34 nel Golden Gala dello scorso anno) possiamo soltanto aggiungere che tutti, da Zauli, a Russo, a Nebiolo e allo stesso “scettico” Vittori, a noi ancora distanti da Borea, facciamo il tifo per lui, nella fondata speranza che sulle sue perfette frequenze torni a correre veloce tutta l’atletica leggera italiana.
Ruggero Alcenterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale