Il discorso del primo cittadino Damiano Coletta in occasione delle celebrazioni dell’86° anniversario dalla fondazione della città:
«86 anni fa nasceva la nostra città. Fu una nascita che prese spunto da una intuizione di Valentino Orsolini Cencelli, ma che tenne poco conto della necessità di permettere la costruzione, accanto allo skyline edilizio e architettonico, anche di un “carattere pontino”, ossia di un riferimento sociale e umano che permettesse ai nuovi inquilini di sentirsi non semplici ospiti, ma cittadini a tutto tondo di una nuova città che fosse anche e soprattutto la loro città.
Proprio oggi, in questo giorno di celebrazione, vorrei fare una serie di riflessioni sul bisogno di questa città di trovare una identità che ci faccia sentire comunità.86 anni fa nasceva la nostra città. Fu una nascita che prese spunto da una intuizione di Valentino Orsolini Cencelli, ma che tenne poco conto della necessità di permettere la costruzione, accanto allo skyline edilizio e architettonico, anche di un “carattere pontino”, ossia di un riferimento sociale e umano che permettesse ai nuovi inquilini di sentirsi non semplici ospiti, ma cittadini a tutto tondo di una nuova città che fosse anche e soprattutto la loro città.
Una identità che va cercata attraverso la ricerca, la conoscenza, lo scambio e le trasformazioni in base al tempo della storia.
La giovane età può essere una giustificazione ma non deve diventare un alibi.
L’insieme delle diversità deve essere un valore aggiunto e non un disvalore. Questo non lo dobbiamo mai dimenticare. Perché sta nel DNA pontino.
Perché la nostra storia ci dice questo.
Ci dice anche che ancora non siamo riusciti a sviluppare il senso di comunità.
E questa dimenticata esigenza necessaria è la base dei tanti problemi che ha accompagnato la storia del nostro capoluogo, un territorio nel quale una mancata integrazione tra gli stessi primi abitanti e le popolazioni dei vicini Lepini ha acuito nel tempo un’impossibilità di relazione che è ancora oggi molto diffusa e che non permette alla città di spiccare quel volo verso dinamiche e suggestioni necessarie per pensare ad una città e ad un territorio realmente nuovi.
La diffidenza, i personalismi e la mancata condivisione di un progetto comune spesso hanno purtroppo condizionato la storia di Latina, più votata a costruire in senso edilizio e non in senso comunitario.
Eppure da sempre questa città e questo territorio sono stati un porto sicuro in cui sperare, rifugiarsi, riscattarsi: qui sono venuti i lavoratori da ogni parte d’Italia in un periodo di grande crisi, qui sono arrivati i coloni dal Veneto, dal Friuli e dall’Emila Romagna a ricostruire una vita insieme alla loro famiglia, qui sono venuti i profughi dall’Est europeo a cercare un rifugio dalle dittature comuniste, i libici espulsi dal colonnello Gheddafi.
Siamo stati un melting-pot.
Nelle varie fasi della nostra storia siamo riusciti a convivere con tutto questo.
Mescolanza vuol dire capacità di riconoscere la diversità, saper guardare l’altro in forma inclusiva e non come altro da sé.
Per questo dobbiamo cercare di uscire da questa visione minimalista ed egocentrica, molto settoriale e particolare e dobbiamo avviare una nuova fase realmente comunitaria ed onnicomprensiva che forse mai Latina ha conosciuto nella sua breve storia.
La costruzione di una vera comunità, passa attraverso l’unione di tutte le micro-comunità, attraverso la reciproca accettazione e non attraverso la negazione dell’altro. Inclusione e Bene Comune.
Cito Giorgio La Pira: “A tutti si fa chiaro che in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per imparare (la scuola ), un posto per guarire (l’ospedale)”. Era il 1951.
La costruzione di una identità di comunità passa attraverso il valore del Bene Comune.
Per Bene Comune si intende tutto ciò che appartiene alla collettività. In primis l’acqua, bene comune primario sulla cui gestione pubblica si sono espressi 25 milioni di italiani, e poi gli spazi pubblici, un parco, la strada, la città in assoluto.
È un riconoscimento necessario per ristabilire le principali regole di una vita collettiva sana e armoniosa, dove il concetto del Bene Comune possa porsi come principale base per raggiungere anche un Bene Individuale, praticamente attraverso un percorso opposto a quello che sta oggi caratterizzando la vita politica e sociale dell’intero pianeta. Perché, a nostro parere, se non si vive bene in simbiosi con i nostri vicini di casa, diventa difficile vivere anche per noi, costretti sempre in un atteggiamento di difesa piuttosto che impegnati a creare, proporre, realizzare e godere di quello che abbiamo.
Ora ognuno deve fare la sua parte nel cercare di restituire una dignità anche nazionale ad una città che soffriva da tempo un isolamento in fatto di stima e di considerazione.
Questo sforzo deve essere frutto di una fase realmente collettiva dove ogni cittadino, ogni associazione di categoria o di volontariato riescano finalmente a sentirsi parte del tutto e non uno specchio rotto in tante tessere in cui ognuno si riflette in sé stesso.
Perché è importante anzi è necessaria la partecipazione e la condivisione.
Cito Jeremy Rifkin: “La condivisione sta al possesso come l’iPod sta al 33 giri, come il pannello solare sta alla miniera di carbone. La condivisione è pulita, fresca, urbana e postmoderna; il possesso è triste, egoista, timido e arretrato”.
Il nostro impegno verso una visione delle problematiche cittadine non legate soltanto alla gestione del quotidiano, ma anche a tracciare nuove strade per inaugurare una nuova politica sociale e comunitaria, necessaria per vivere meglio tutti, noi compresi, in concordia e rispetto con e verso gli altri, in una prospettiva di crescita reale e concreta che coinvolge ogni aspetto della nostra vita sia privata che relazionale e comunitaria.
Qualche giorno fa, in un incontro pubblico, riflettevo con alcune persone che erano più o meno della mia stessa generazione.
Abbiamo ripercorso alcuni anni della nostra storia e della storia della nostra città.
Gli anni 70 e gli anni 80, il loro fermento culturale, il bisogno di uscire da una dimensione provinciale.
Questo bisogno si concretizzava in una nostra fuga.
I ventenni di allora cercavano di andar via da Latina attraverso le opportunità lavorative o di studio per rincorrere il mito della grande città (Roma…), probabilmente perché non “sentivano” questa città.
I ventenni di adesso purtroppo hanno meno opportunità lavorative ma dobbiamo fare in modo che il loro andar via non sia una fuga ma una libera scelta in cui Latina sappia diventare un’opportunità, sappia essere attrattiva.
Il mio pensiero va a loro. Ai più giovani. Latina si avvia verso il centenario. Quale presente e quale futuro dare a questa città.
Noi più grandi abbiamo delle responsabilità verso di loro.
Dobbiamo riconoscere e riconoscerci nella nostra storia cercando di mettere da parte e di superare le divisioni e le strumentalizzazioni ideologiche , al di là della retorica nostalgica.
Dobbiamo riuscire a fare “sistema” in nome della nostra città e del bene comune, cercando di fare tutti la nostra parte.
Con la libertà di andare via ma anche con la voglia di tornare e l’orgoglio di esserci e di appartenere a questa terra.
Mi rivolgo soprattutto a tutti coloro che hanno ricevuto molto da questa terra o che comunque abbiano trovato una realizzazione grazie anche al fatto di essere cresciuti qui.
Mi rivolgo quindi agli imprenditori, ai professionisti e a tutti coloro che sentono il bisogno di restituire qualcosa alla loro terra.
Credo sia giunto il momento di restituire qualcosa alla città.
Dobbiamo farlo al di là di ogni divisione di tipo ideologico o di altra natura.
Lo dobbiamo fare per la città, per la nostra città.
Mettiamo insieme le risorse per la cultura e per rimettere a posto i nostri monumenti (ripartiamo dallo Stallino ad esempio).
Mettiamo insieme le risorse per dare forma e contenuti a quella che sarà Latina 2032, la Latina del centenario.
Una Latina che si affaccia al suo futuro con un nuovo proposito, un nuovo intento, ossia quello finalmente di crescere e migliorare da un punto di vista sociale e comunitario, capace di raccogliere quella necessità di integrazione tra tutti, superando le dispute personalistiche, tracciando un nuovo progetto di crescita, tralasciando le diversità culturali, etniche, religiose e sociali, anzi, utilizzandole come priorità per comprendere tutte le diverse anime che popolano un’unica ed inscindibile comunità.
Mettiamo al centro l’interesse di una comunità ripartendo dalla dimensione umana perché la nostra città possa diventare presto e a tutto tondo una comunità integrata, definita e orgogliosa della sua appartenenza. Nella dimensione umana deve esserci al centro il diritto della persona e la sua dignità.
La dignità deve essere un ponte tra passato, presente e futuro. E quindi è necessario avere quello spirito di solidarietà che ci deve rendere sensibili verso le persone fragili.
In tema di solidarietà il mio pensiero, il nostro pensiero va ai lavoratori della Corden Pharma che stanno vivendo una fase difficile con il rischio del posto di lavoro.
Che sappia godere della bellezza della condivisione e che sappia riaffermare il valore della gentilezza.
Che sappia riappropriarsi del tempo della vita.
Lavoriamo insieme per questo: costruire una comunità che viva il presente e creda nel futuro.
Latina città di fondazione, Latina città dei diritti, Latina anche città di mare, Latina anche città del Parco, Latina inclusiva, Latina solidale, Latina città dell’Università, Latina città giovane e dei giovani, Latina città dello sviluppo sostenibile, Latina smart city, Latina città del futuro. Latina è e può essere tutto questo. Buon compleanno Latina…».