8 APRILE 2021 – Giorgio Vasari racconta che nell’estate del 1502, Luca Signorelli, che stava ultimando gli affreschi della Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto, fu folgorato dal dolore per la morte del figlio Antonio, nel fiore dell’età ed avviato alla sua stessa carriera , contagiato dalla peste che imperversava in Cortona. Allora il Maestro, recatosi al cospetto del figlio, ne fece spogliare il cadavere e “con grandissima constanza d’animo, senza piangere o gettar lacrima lo ritrasse, per vedere sempre che volesse, mediante l’opera delle sue mani, quella che la natura gli aveva dato e tolto la nimica fortuna”. Luca replicò poi il soggetto nel “Compianto”, per la Chiesa di Santa Margherita, sempre a Cortona e quindi – in quell’anno – ne affrescò una copia autografa nel Duomo di Orvieto. Ecco, dunque, che di questi tempi dolorosi per la globale collettività umana e in particolare per la comunità cristiana, i riti della Pasqua assumono un particolare significato. Così oggi ho pensato a capolavori alternativi rispetto alla celeberrima Pietà di Michelangelo Buonarroti, come la Deposizione di Ippolito Scalza, che con stupore ho recentemente potuto ammirare nel Duomo di Orvieto, rinascente per le straordinarie opere recuperate e riesposte, dopo centoventidue anni di oblio nei magazzini. Mi riferisco comunque in particolare al travaglio artistico di Luca Signorelli che, nel dipingere il figlio morto di peste, trasfuse nell’opera il suo strazio ed il suo disperato riuscito tentativo di restituirlo a vita perenne. Infine, credo che si possa evocare una speranzosa metafora, proprio nell’accostare l’arte all’emergenza, a conferirle un ruolo salvifico attraverso l’esaltazione dei buoni sentimenti, nell’artificio di cui soltanto l’uomo stesso è capace.