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L’arte di Matteo Mauro lanciata nello spazio a bordo della Spaceship Falcon 9

C’è anche un’opera italiana, firmata da Matteo Mauro, nel Falcon 9 di SpaceX, lo shuttle lanciato nello spazio da Tesla. L’azienda, infatti, ha deciso di dare la possibilità ad alcuni partners selezionati di inserire in questa “navicella spaziale” delle immagini incise a laser da inviare nel cosmo.

Un’idea bizzarra e originale, per lasciare qualcosa di bello e particolare a beneficio delle generazioni future, che potrebbero rinvenire il contenuto tra decenni, secoli o millenni o, perché no, di abitanti di altri pianeti.

In questo “tesoro dello spazio” c’è anche un’opera di Matteo Mauro, artista eclettico, siciliano di nascita, ma ormai divenuto cittadino del mondo, sebbene sempre molto orgoglioso delle proprie radici. Nonostante la giovane età, Matteo Mauro è tra i più interessanti esponenti di arte digitale in Italia.

Tra i fortunati selezionati da Tesla, infatti, c’è anche un collezionista particolarmente sensibile alle opere di Mauro, al punto da averne acquistate diverse e aver deciso di “condividerlo” con alieni e future generazioni.

Del resto, Matteo Mauro è l’emblema del futuro, di un’arte in continua evoluzione, sempre con il desiderio di sperimentare. Il suo stile, caratterizzato da linee, ordinate con un particolare algoritmo, che creano un affascinante effetto luce/ombra, ha quasi del metafisico, e sembra voler ricreare un universo in continuo mutamento. Creazioni digitali che non si limitano a reinterpretare i processi meccanici dell’incisione tradizionale, ma, essendo riproducibili infinite volte e ovunque, esemplificano l’evoluzione delle pratiche di produzione di massa e l’inevitabile simbiosi tra l’uomo e la macchina.

Sono davvero onorato dal fatto che un mio lavoro potrebbe raggiungere luoghi inesplorati dell’universo. – Commenta Matteo MauroIn fondo, questo viaggio racchiude un po’ l’essenza di molte mie opere, attraverso le quali compio un viaggio che oltrepassa spazio e tempo, che supera i canoni tradizionali e i linguaggi precostituiti, che spesso mi vanno stretti. Un’arte che cerca sempre quel qualcosa in più”.

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