La sceneggiatura è una tra le tante forme autonome di espressione letteraria?
O è semplicemente definibile “pre-cinema”? Dal punto di vista narratologico, Albert Laffay afferma che «ogni film si ordina intorno a un fuoco linguistico virtuale che si colloca al di fuori dello schermo»[1]; Gaudreault, nel corso dei suoi studi sul processo filmico, si interroga sulla narrazione cinematografica, trovandovi all’interno un narratore e un mega-narratore [2].
Barthes ci dice che la narrazione è presente in tutti i luoghi ed in tutte le società; proprio gli studi semiologici di Barthes ci conducono ad un altro importante semiologo francese, Christian Metz, che afferma un’intrinseca narratività del cinema e la presenza costante di narrazione in ogni immagine cinematografica.
Seguendo ancora una linea semiotica, Pasolini si è occupato dell’argomento in modo sistematico, analizzando le posizioni strutturaliste di Lévi-Strauss e le critiche a quest’ultimo mosse da Gurvicht e dalla sociologia americana, che rifiutavano la struttura in nome del processo; in tal modo ha potuto indicare il cinema come arte in continua tensione, caratterizzata da un passaggio da una struttura A ad una struttura B, da un processo verso la creazione:
Ma un processo particolare, non trattandosi di un’evoluzione, di un passaggio da uno stato A a uno stadio B: ma di un puro e semplice “dinamismo”, di una “tensione”, che si muove senza partire e senza arrivare, da una struttura stilistica, quella della narrativa, a un’altra struttura stilistica, quella del cinema, e, più profondamente da un sistema linguistico a un altro[3].
La definizione pasoliniana della sceneggiatura ci appare vicina a quella di Giorgio Tinazzi, che la indica come una “zona di mezzo” tra scrittura e sguardo, per citare il suo lodevole saggio del 2007 [4].
Ancora Pasolini definisce inoltre la sceneggiatura come un sistema di segni che allude ad un altro sistema di segni:
Il segno della sceneggiatura allude al significato secondo la strada normale di tutte le lingue scritte e specificamente dei gerghi letterari, ma, nel tempo stesso, esso allude a quel medesimo significato, rimandando il destinatario a un altro segno, quello del film da farsi [5].
Sempre nel suo Empirismo eretico, Pasolini discute della possibilità di analizzare la sceneggiatura con un codice stilcritico tradizionale, concludendo con l’invito ad utilizzare nuovi codici interpretativi:
Una critica a una sceneggiatura come tecnica autonoma richiederà ovviamente delle condizioni particolari, così complesse, così determinate da un viluppo ideologico che non ha riferimenti né con la critica letteraria tradizionale, né con la recente tradizione critica cinematografica – da richiedere addirittura l’ausilio di possibili codici nuovi [6].
E proprio questi nuovi codici di cui parla Pasolini, tuttora inesplorati, fanno pensare che le ricerche sullo statuto letterario della sceneggiatura abbiano bisogno di maggiore attenzione, tenendo conto anche delle continue trasformazioni che il cinema sta subendo.
Pasolini inserisce dunque la sceneggiatura (che egli definisce sceno-testo) in un vero e proprio sistema linguistico fatto di grafèmi, fonèmi e cinèmi, quest’ultimi adibiti alla trasmissione di un significato che è proprio dell’immagine.
Il cinèma è la più piccola unità significante del linguaggio cinematografico (come i fonèmi della lingua verbale e i grafèmi della lingua scritta), e un insieme di cinèmi, che rappresentano gli oggetti significanti della realtà, costituiscono l’inquadratura.
Quest’ultima corrisponde quindi al morfèma della lingua scritta e verbale.
I cinèmi sono dunque infiniti, a differenza dei fonèmi che infiniti non sono ma che possono certamente comporre infinite parole.
Riscontrata questa prima differenza, Eco è intervenuto nel dibattito pasoliniano affermando che i cinèmi (gli oggetti reali che compongono l’inquadratura) sono già segni dotati di significato e sono dunque già morfèmi significanti. In tal modo l’associazione fonèma/grafèma-cinèma decadrebbe, lasciando spazio a quella morfèma-cinèma, e l’inquadratura diverrebbe un insieme di cinèmi o, citando Eco, un enunciato o un sema [7].
Il discorso ora si complica. Possiamo notare come il cinema abbia elaborato un sistema linguistico complesso, che in sede semiotica talvolta può vivere di associazioni con il sistema linguistico scritto-parlato.
La sceneggiatura, che per Pasolini presenta intrinsecamente un’incompletezza che è proprio segno stilistico, è vista dunque come un linguaggio che si pone a metà tra due linguaggi ormai differenti, e come ogni linguaggio ha un suo preciso sistema linguistico analizzabile semioticamente.
Non una sceneggiatura come ipotesi scritta del film, in un rapporto di pre-testualità tra letteratura e cinema – come l’ha definita Lino Miccichè [8] – ma un testo che rappresenta la componente letteraria del film, in un rapporto di aggregazione [9]: un altro linguaggio che potremmo definire letteratura cinematografica.
Viene in mente l’interessante definizione di mezzo pluricodico che Metz dà del cinema, in quanto portatore di codici registico-cinematografici e codici narrativi: un mezzo multi-segnico con segni iconici (propri del fotogramma), verbali (dei dialoghi), musicali (della colonna sonora), cinesici, narrativi (della sceneggiatura e del montaggio, almeno nell’invisibile découpage classico).
Il percorso semiotico è uno strumento preziosissimo per analizzare più da vicino la sceneggiatura e per cercare di cogliere in essa le caratteristiche che potrebbero permetterci di considerarla non soltanto come struttura o processo, ma anche come vero linguaggio autonomo.
Accogliendo l’ipotesi di Pasolini e definendo la sceneggiatura sceno-testo, è possibile coglierne i segni linguistici? Un segno della sceneggiatura è scomponibile, secondo l’analisi pasoliniana, in morfèmi a loro volta divisibili in segni scritti (grafèmi), orali (fonèmi) e visivi (cinèmi).
Secondo questa ottica, lo sceno-testo presenta dunque un’accentuazione espressiva del cinèma, che è uno degli elementi della lingua scritto-parlata.
Il cinèma ci appare dunque come uno sceno-segno del linguaggio scenico-testuale, pur non facendo parte di un sistema linguistico a doppia articolazione.
Un nuovo linguaggio, la sceneggiatura, che possiamo definire cine-testo.
[1]A.LAFFAY,Logique du cinéma: création et spectacle, Masson, Paris 1964, p. 80.
[2]Cfr. A. GAUDREAULT, Dal letterario al filmico. Sistema del racconto, Lindau, Torino 2006.
[3] P. PASOLINI, Empirismo eretico, prefazione di Guido Fink, Garzanti editore, Milano 2000, pp.194.
[4] Cfr. G. TINAZZI, La scrittura e lo sguardo, Marsilio, Venezia 2007.
[5]P. PASOLINI, Empirismo eretico, cit., p. 189.
[6] Ibidem, pag. 188.
[7] Cfr. U. ECO, La struttura assente. La ricerca semiotica e il metodo strutturale, Bompiani, Milano 2002.
[8]Cfr. L. MICCICHÈ, Cinema e letteratura, in «Letteratura vol. 1», Enciclopedia Feltrinelli Fisher, a cura di G. Scaramuzza, Feltrinelli, Milano 1976.
[9] Ibidem.