Lo so che salire sul carro dei perdenti non è esattamente quello che avviene in natura e nello stesso comportamento umano. Ieri la Roma di Eusebio Di Francesco e Francesco Totti ha compiuto il miracolo di conquistare il passaggio in semifinale per la Coppa dei Campioni , battendo il Barça di Messi e innescando un fenomeno liberatorio, quello del riscatto di una intera comunità, addirittura degli stessi italiani, vessati dai problemi della Nazionale e della Juventus, che si è impappinata con il Real Madrid. Tutto straordinario, anche perché la rimonta aveva dell’impossibile dopo il 4 – 1 dell’andata a favore dei “blugrana” e poi come propedeutica per il derby con una Lazio in piena forma nel prossimo turno di Campionato. E allora? Quale è la remora, il sottile uggioso dispiacere di chi nutre sensibilità che vanno oltre il clangore degli spalti ? Beh, per la doppia tristezza dei battuti, senza se e senza ma, che sicuramente rappresentano con Gaudì la tempra straordinaria ed unica del popolo Catalano e che in questo momento complicato della propria storia hanno bisogno di tutto meno che di colpi al plesso solare, di eventi che ne vessino ulteriormente l’orgoglio e la fiducia nell’intrapresa. Ma tant’è. Nello sport promuoviamo e sbandieriamo il fair play, ma poi per il podio vige lo “spirto guerrier” connotato dal motto medievale “Mors tua vita mea” e Roma, come Barcellona, aveva ed ha un bisogno assoluto, vitale di affermazioni per accreditare la propria capacità collettiva di sopravvivenza. Così lo sport, quello dello spettacolo per antonomasia, il calcio dei professionisti all’Olimpico, il gioiello affidato al CONI, ci è venuto in soccorso e per una notte siamo saliti sul tetto del mondo, dimenticando la città transennata, ridotta ad una gruviera, con il suo secondo Stadio, quello comunale, il Flaminio, in stato di putrefazione. Per l’immaginario collettivo, il giallorosso ha stravolto ogni pronostico, mettendo in soggezione il blugrana, ma con questo tornano nella memoria anche le pulsioni che già aleggiavano ai tempi del Campo Testaccio, del professor Fulvio Bernardini, che del calcio nostrano facevano una scuola di vita ed un corroborante per il cuore popolare. Forse, quel modello di “Cantera” che ha fatto del Barcellona il Barça e del piccolo Leo Messi un supercampione, quello Stadio sociale dei barcellonesi, non a caso chiamato “Camp Nou” dal 2001 e che è anche casa, aggregazione di sentimenti, museo visitato da milioni di turisti, rappresenta davvero un modello ideale indipendentemente dalla defaillance agonistica . Tutto questo dovrebbe farci riflettere su cosa occorre per il futuro delle nostre città e della nostra società civile, che torna ad aggrapparsi allo sport, ma è pur sempre martoriata da dubbi e tentennamenti sulle scelte da fare. Per cui, adesso godiamoci la festa, ma prendiamo esempio dall’esperienza altrui con “chapeau” per gli sconfitti !
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale