Ecco che oggi a Roma si ripete un miracolo, come quello che puntualmente si verifica a Napoli per il sangue di San Gennaro, purtroppo sotto l’alea, il timore che si riverbera in tema di sicurezza per la eco di vecchi e nuovi episodi di demenziale terrorismo, dalla Maratona di Boston del 13 aprile di cinque anni fa, a quello di ieri a Munster. Si corre per la ventiquattresima volta con la nuova formula la Maratona che ebbe i suoi esordi all’inizio del Novecento, quando nella Città Eterna non c’era nemmeno uno Stadio , se non quella cavea naturale nella Villa Borghese, che ancora ospita il Concorso Ippico Internazionale, Piazza di Siena. Allora i nomi che circolavano erano quelli di Pericle Pagliani, Umberto Blasi e nientepopodimeno che il mito della storia universale dello sport, Dorando Pietri, che a Roma vinse il 2 aprile di centododici anni fa, giusto nel 1906, due anni prima dell’impresa di Londra, dove trionfò sul traguardo, perdendo l’oro, ma conquistando la gloria perenne, dopo una controversa squalifica. Allora, i pochi che osavano correre per quaranta chilometri erano considerati degli audaci ed infatti nei 1901 era nata la gloriosa Società Sportiva Audace, che ancora regge nella sede di via Frangipane ad un passo dal Colosseo, con la sua storica Sala Beniamino Gigli. Diciamo che la celebrazione, la santificazione della gara più dura e classica del programma olimpico moderno avvenne giusto nel 1960, quando a sorpresa vinse l’etiope Abebe Bikila, che passò alle cronache per aver concluso l’impresa a piedi nudi sotto l’onusto Arco di Costantino. In quella occasione all’arrivo c’ero anch’io e vi garantisco che il contesto emotivo fu straordinario. Come sapete, io la penso alla mia maniera e credo che vadano sempre attribuiti meriti e demeriti senza indulgere in se e ma: aver rinunciato per due volte di seguito alla candidatura per una nuova edizione dei Giochi Olimpici a Roma (2020 e 2024) ha significato commettere corbellerie degne dei fessi , dei dilettanti allo sbaraglio o peggio dei masochisti estremi. La Città potrà continuare ad ospitare kermesse di ogni tipo, ma mai troverà il modo per riparare alla dignità persa con insulse rinunce. Detto questo, salutiamo le migliaia di agonisti seri e soft, circa centomila, che questa mattina occuperanno i Fori Imperiali e il Circo Massimo nell’ulteriore avvicendamento di una gestione, che a suo tempo passò dal team di Umberto Silvestri a quello di Enrico Castrucci, prima con il mandato del Sindaco Francesco Rutelli e poi adesso con quello di Virginia Raggi. Ma, tornando alla sostanza, non posso evitare di ricordare che ogni anno la Maratona viene preceduta dalla suggestiva “mezza” inventata da Luciano Duchi e coccolata con il GS Bancari Romani, che ricongiunge son soltanto idealmente i Sette Colli ad Ostia, che ne è il completamento sul mare, restituendole in parte il ruolo morale sfregiato dalle vicende malavitose e di degrado, che ne hanno violentato la memoria virgiliana. Ecco, dunque, che lo sport nella sua accezione più naturale e semplice, la corsa a qualsiasi passo, ha il potere di mobilitare, riunire, ricongiungere, nobilitare socialmente una collettività che meriterebbe ben di più che un paio di appuntamenti l’anno, ma un vero e proprio sistema di sport tutelato, praticabile nei parchi e lungo percorsi, che soprattutto nei week-end dovrebbero essere attivati e riservati. Purtroppo, l’ennesima reggenza del Campidoglio non solo non ha partorito nulla di nuovo, ma ha mandato al macero definitivo impianti come il Flaminio e il Paolo Rosi, ha disarticolato il sistema che con le società sportive suppliva alla gestione di strutture ed eventi, ha lasciato nel totale abbandono le strade, i sottopassi, il verde, il Tevere, che sono ormai all’inselvatichimento, tra buche, crepacci, transennamenti, riduzioni di velocità, deviazioni e crollo di alberi. I parchi urbani o periferici, le aree e le riserve naturali di Roma, una volta risorse naturali di gioiose esperienze oggi incutono timore, paura come lo era la Selva Cimina per gli antichi Romani. Credo, per concludere, che varrebbe la pena di sistematizzare gli appuntamenti a piedi e sue due ruote su percorsi e date che mantengano viva l’attenzione e la presenza fisica dei cittadini in ogni parte del territorio capitolino, che gli sportivi, quindi, assurgano al ruolo di vigili custodi del bene comune ed infine, che la Maratona di Roma torni sul suo percorso classico, quello che fu di Roma 1960 e che possa vivere nel prestigioso ricordo di quella che – cinquantotto anni fa – fu la sua unica e sola straordinaria occasione olimpica, ripetendo nel futuro le sue conclusioni trionfali sotto l’Arco del grande Imperatore Costantino.
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale