12 ottobre 2017
– Hai voglia a dire: “Mi piego ma non mi spezzo!”. Chi conosce la legge, quella del fil di ferro, sa benissimo che dopo un certo numero di manovre l’anima del filo si stressa e trac si rompe, lasciando margini irregolari, appuntiti, pericolosi. Ora, direi che bisognerebbe farla finita con le manovre artate e finalizzate a presunti comodi di parte e destinate a determinare danni certi e difficilmente reversibili per la collettività. Mi riferisco chiaramente all’ennesima piegatura della legge elettorale in nome della governabilità e nella chiara intenzione di dare certezze ai candidati deputati e senatori scelti dai vertici, piuttosto che la certezza di un governo per il Paese, scelto dalla reale volontà popolare. Passo dopo passo, ci si continua ad allontanare dalla versione originaria dei “padri costituenti”, distorcendo avanti e indietro la regola fondamentale del gioco, quella appunto che determina l’assemblea legislativa. L’incubo o l‘alibi se preferite della governabilità già nel 1953 mise in moto un tentativo di ottenimento dopato della maggioranza, operazione che fu bollata come “Legge Truffa” e che fu bocciata dagli elettori . Già in quel caso il fil di ferro si spezzò, ma la memoria corta ha portato i partiti o quel che rimane di loro nella “Seconda Repubblica” a reiterare goffi tentativi di sofisticazione. La Costituzione Italiana – approvata il 22 e promulgata il 27 dicembre 1947 – nella sua complessità ed incompletezza originaria ( manca un riferimento al diritto della pratica sportiva … ) era ispirata al principio della proporzionale pura e alla elezione dei parlamentari sulla base della volontà certa da parte degli elettori, quindi con le preferenze. Tutto il resto è alchimia, compreso quello che è avvenuto da venticinque anni a questa parte, con gli italiani oggettivamente sempre più poveri nelle tasche e nel cuore, senza più passione per la politica e con il loro futuro appeso ad un filo, purtroppo di ferro.