Questa vicenda della Catalogna legata e imbavagliata, affinché non esprima comunque una opinione sull’autonomia, con un si o con un no, mi lascia perplesso.
In qualche modo, sembra di essere a bordo di un ottovolante, dove l’effimero si esalta in Europa con una strana Unione Comunitaria, che diventa ringhiosa sulla pizza napoletana e sfarfalla sulla moneta unica, molla le rogne delle migrazioni bibliche a chi è fronte mare e non accenna seriamente alle questioni del lavoro, dell’istruzione, del welfare e della difesa, della salute e del contrasto a pirati e terroristi, piuttosto che dell’import-export legale e illegale o dei beni ambientali e culturali a rischio di dissoluzione per l’inadeguatezza o l’assenza del sistema.
In questo caleidoscopio nascono e si nascondono differenze sostanziali non soltanto di colori e forme, dal profondo, forte significato discriminante, per cui ci sono comunque regioni autonome e più o meno piccoli stati negli stati, paesi che hanno mantenuto con vantaggio la propria moneta ed altri che hanno avuto regali o pesanti torti per avere adottato l’Euro.
E allora? Allora attenzione, perché se si crea la diaspora nella Catalogna, forse la comunità più smart, più efficiente ed incline all’integrazione in Europa e nel mondo, allora c’è l’avvisaglia, l’odore sempre più forte di materia in decomposizione, di un inerte fatto di inutile burocrazia e vile appiattimento su norme condivise per mero opportunismo. La Catalogna è la “cantera” delle buone prassi e dell’efficienza, della capacità massima di organizzare, progettare e utilizzare i finanziamenti comunitari, ma anche l’esempio di una genialità oltre gli schemi, quella che ci viene ricordata simbolicamente dalla Sagrada Famiglia e dal suo irrituale creatore, Antoni Gaudì.