- Qualcuno penserà che io abbia strane percezioni, ma vi assicuro che dopo aver percorsi i più diversi sentieri del possibile e anche dell’impossibile, sono giunto alla conclusione che nulla è più ovvio ma giusto del male, quello che non nuoce, al netto di tutto il resto, da cui non c’è salvezza.
In buona sostanza, il male assoluto della guerra, che da ottantuno giorni si va diffondendo mefitica nelle regioni ucraine, le sue metastasi infiltrate in un tessuto già compromesso, tra migrazioni, degrado ambientale, smottamento economico e pandemia latente, portano inevitabilmente ad un necessario “showdown” da parte di chi le responsabilità non le può ulteriormente delegare, ma se le deve immanentemente assumere. E’ venuto il momento della transizione etica, quello della scomunica laica degli irresponsabili, degli incapaci, degli inetti e dei furbi, categoria quest’ultima la peggiore, tremendamente perniciosa. Ieri, a Città della Pace, il Panathlon International ha lanciato l’idea di insegnare il fair play nelle scuole. Dal 1947, siamo in attesa di attività motoria, medicina scolastica, educazione civica e sanitaria, dello sport in Costituzione, come diritto, per i bambini e i ragazzi, che crescono male nella fase primaria, quella più delicata della nostra pubblica istruzione. Oggi, sentendo quel che sibila verso l’Europa, che s’insinua tra i territori di Oikoumene, la “Casa comune dei popoli mediterranei”, sino a minarne le millenarie fondamenta, siamo vieppiù chiamati ad un soprassalto di coraggio e di determinazione. Chi sente di dover scendere in campo per la propria parte e nel ruolo che gli compete lo faccia senza infingimenti ed esitazioni. D’altra parte, c’è troppa gente che vive sulla filosofia dell’inerzia. E allora? Allora, se Il concetto di pace olimpica, di tregua, di rispetto degli altri e di noi stessi, può essere riassunto nel principio di lealtà, che ispira in assoluto il fair play, facciamo di questo qualcosa di più, eleggiamolo a diritto, come per la gioia e l’oblio.