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IL SACRIFICIO DI IFIGENIA

22 MAGGIO 2018

– Qualsiasi ne fosse il recondito motivo, la tragedia di cui si è reso autore Fausto Filippone ha senza dubbio il profilo greco, degna di Euripide. Sì, perché la probabile uccisione della moglie o la sua morte, per cause da accertare, ma comunque violenta, ha portato Fausto a compiere l’estremo sacrificio della figlia, gettandola giù da un viadotto autostradale e seguirne poi la sorte, dopo ore di dubbio, vigile di quel corpo innocente sfracellato trenta metri sotto di lui. Purtroppo, siamo fuori dalla dimensione mitologica, dalla finzione teatrale e diversamente viviamo la più cruda e sconcertante realtà. Non possiamo nemmeno invocare i disturbi mentali, che puntualmente si accompagnano con il terrorista di turno, perché Filippone era uno di noi, laureato a Ca’ Foscari e dirigente d’azienda. E’ vero, aveva perso la mamma da qualche mese ed un amico si era suicidato. Ma quanti di noi hanno perso genitori ed amici nel modo più imprevisto e doloroso… No, cari amici, l’impulso omicida e sacrificale di Filippone deve aver avuto ragioni ben più profonde ed oscure, tali da sconvolgerlo e precipitarlo nell’inferno, lo stesso introiettato dal suo quasi omonimo dottor Faust, creatura simbolo dell’animus moderno, frutto di sessant’anni di geniali cogitazioni da parte di Johann Wolfgang von Goethe. Altro che il richiamo del Padreterno ad Abramo, affinché scannasse il povero Isacco, figlio impossibile di un improbabile miracolo, altro che i dubbi atroci e la resistenza di Agamennone per il sacrificio della figlia diletta Ifigenia. Purtroppo, per la piccola Ludovica non c’è stato bisogno di arrivare sino nella lontana Aulide, ma per uscire dalla nebulosa iniziatica le è bastato tenere la mano del padre sino al ponte sulla A14, in vista della natia Francavilla.
« Avvicinatevi ancora, ondeggianti figure apparse in gioventù allo sguardo offuscato. Tenterò questa volta di non farvi svanire? Sento ancora il mio cuore incline a quegli errori? Voi m’incalzate! E sia, vi lascerò salire accanto a me dal velo di nebbia e di vapori. »
(Goethe, Faust, vv. 1-6[1])
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