In Italia il divario salariale e non solo penalizza le donne nei confronti degli uomini

Nel nostro Paese, il concetto di “uguaglianza di genere” appare spesso più come un obiettivo lontano piuttosto che come una realtà consolidata. Quando si parla di disparità tra uomini e donne, uno degli aspetti più evidenti e, purtroppo, radicati, è il gender pay gap, ovvero il divario salariale che ancora oggi penalizza le donne in quasi ogni settore lavorativo.
Se ci si sofferma su alcune cifre, la situazione appare ancora preoccupante: secondo il “Rendiconto di genere” dell’INPS, le donne italiane guadagnano in media oltre il 20% in meno rispetto ai colleghi maschi. Un dato che non solo non accenna a migliorare, ma che si manifesta con intensità diversa a seconda del settore.
Nel mondo del lavoro, la differenza di trattamento tra i due generi è tangibile. Nelle attività manifatturiere, ad esempio, il gap raggiunge il 20%, ma la situazione è ancora più critica nelle attività finanziarie e assicurative, dove il divario arriva a sfiorare il 32%.
Donne più laureate degli uomini ma pari opportunità differenti
È interessante notare che, nonostante le donne abbiano una percentuale più alta di laureate e diplomate rispetto agli uomini – nel 2023, ad esempio, il 59,9% dei laureati erano donne – questo non si traduce in pari opportunità o riconoscimenti economici.
In altre parole, la maggiore istruzione femminile non è accompagnata da un adeguato miglioramento nelle opportunità professionali o nei salari. Una contraddizione che danneggia non solo le donne stesse, ma l’intero sistema economico italiano.
A questa disparità economica si aggiunge un altro aspetto che contribuisce a rendere la carriera femminile più difficile: la precarietà lavorativa. Le donne sono spesso costrette ad accettare lavori part-time, a volte involontari, che non solo riducono i guadagni, ma limitano anche le opportunità di crescita professionale.
Nel 2023, il 15,6% delle donne occupate lavorava part-time involontario, contro solo il 5,1% degli uomini. A questo si aggiunge il dato sugli stipendi più bassi, che influisce pesantemente anche sulle pensioni future delle donne. Infatti, le pensioni femminili sono mediamente inferiori del 25,5% rispetto a quelle degli uomini per l’anzianità e, nel caso delle pensioni di vecchiaia, la differenza arriva addirittura al 44,1%.
Una delle cause principali di queste disparità risiede nella distribuzione del lavoro di cura. In Italia, sono ancora principalmente le donne a farsi carico delle necessità familiari, un aspetto che limita ulteriormente la loro partecipazione al mercato del lavoro.
Vita familiare e carriera: quando la donna è penalizzata
Non solo: la mancanza di infrastrutture adeguate, come gli asili nido, rende ancora più difficile conciliare vita familiare e carriera. Infatti, molte regioni italiane non riescono a garantire il numero minimo di posti necessari, un dato che penalizza principalmente le madri lavoratrici.

Eppure, nonostante queste difficoltà strutturali e sociali, le donne sono più preparate rispetto agli uomini. Se si guarda al dato relativo al livello di istruzione, è evidente che siamo di fronte a una potenziale risorsa che il Paese non sta sfruttando a pieno.
Come sottolinea la segretaria confederale della Cgil, Lara Ghiglione, si tratta di una perdita di competenze che va ad incidere negativamente non solo sulle singole vite, ma sull’intera economia del Paese. Più donne qualificate e con il potenziale per crescere non vengono valorizzate adeguatamente, e ciò ci porta a domandarci: quanto potenziale stiamo sprecando?
Il cambiamento è possibile, ma richiede un impegno strutturale e un cambio di mentalità. È fondamentale che il divario retributivo venga ridotto, che le politiche di supporto alle lavoratrici vengano potenziate, e che le opportunità di carriera siano realmente accessibili a tutti, indipendentemente dal genere. Le donne italiane meritano di essere riconosciute non solo per la loro preparazione, ma anche per il contributo che possono dare al futuro del nostro Paese.