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Il conflitto come motore della storia

Il conflitto come motore della storia. Il metodo scientifico – scrisse Karl Popper in molte sue opere – consiste nella formulazione di “ipotesi” esplicative che vengono continuamente e senza fine sottoposte a prova sperimentale, e che possono essere eliminate su tale base. La formulazione delle ipotesi e la loro (eventuale) eliminazione possono anche venir caratterizzate come momenti di tesi e di antitesi tra loro complementari. Tuttavia, nell’ambito di questo processo, non vi è né una produzione “necessaria” di sintesi, né la conservazione necessaria dei due momenti iniziali nel suo ambito (come invece sostiene la dialettica).

La dialettica hegeliana poggia sul presupposto di una “ragione incorporata nella realtà”, e di una conseguente coincidenza fra la struttura dello sviluppo reale e la forma del ragionamento speculativo; la dialettica marxista, a sua volta, conserva il presupposto hegeliano, sulla base di un semplice “rovesciamento”. Nell’uno come nel’’altro caso, il metodo dialettico costituisce la via che consente di sfuggire alla prova dell’esperienza, prescindendo dal controllo negativo che essa fornisce per le teorie che sono state formulate.

L’analisi viene affinata in Miseria dello storicismo. In questo libro, diventato presto celebre, Popper prende posizione nel dibattito concernente il rapporto fra scienze storico-sociali e scienze naturali, e in particolare sulla tesi secondo la quale le discipline storico-sociali sono “arretrate” rispetto a quelle naturali, per cui sarebbe necessaria la trasposizione degli strumenti delle seconde entro le prime.

Per Popper lo storicismo s’identifica con la credenza in leggi dello sviluppo storico di portata universale, siano esse lineari o di tipo ciclico, come per esempio quelle rinvenibili nei grandi sistemi di filosofia della storia elaborati da Hegel, Marx e Engels, Comte e Spengler. Ecco perché nella sua visione “lo storicismo è tutto un errore. Lo storicista vede la storia come una specie di corrente d’acqua, come un fiume che scende, e crede per questo di poter prevedere dove passerà l’acqua a partire da quel momento”.

Il filosofo austriaco vede nei sistemi dianzi citati i fondamenti intellettuali delle ideologie totalitarie del secolo scorso, sia di sinistra che di destra. A suo avviso il corso della storia è influenzato in modo essenziale dalla crescita della conoscenza umana, mentre lo sviluppo della conoscenza stessa è in larga misura imprevedibile. Nessuna entità, quindi, è in grado di prevedere il futuro in modo scientifico, e ciò vale sia per gli scienziati sia per le macchine: se potessimo prevedere le scoperte del futuro, verrebbe annullata la stessa differenza tra futuro e presente.

“Noi – egli scrisse – dovremo sempre vivere in una società imperfetta. E ciò non solo perché anche le persone migliori sono assai imperfette; e neanche perché, come è naturale, facciamo spesso degli errori per il fatto di non saperne abbastanza. Ancor più importante di queste due ragioni è il fatto che esistono sempre insolubili conflitti di valori: ci sono molti problemi morali insolubili perché i principi morali possono entrare fra loro in conflitto. Non può esistere alcuna società umana senza conflitti: una siffatta società sarebbe una società non di amici ma di formiche”.

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