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GOVERNO E MURALES ITALICI

4 settembre 2019
– “Qui si fa l’Italia o si muore!”. Mi piace partire dall’imperativo del 15 maggio 1860 a Calatafimi, per passare al “benservito” di Teano, il 26 ottobre dello stesso anno, da parte di Vittorio Emanuele II, fase conclusiva del lavoro pesante affidato a Giuseppe Garibaldi, con la compiacenza degli inglesi. Così finiva il Meridione dei Borboni e iniziava quello dei Savoia, con l’Italia unita dalla spada, ma poi sempre divisa dalla politica, dall’economia e dalla religione. Si tratta di una storia che ha ampiamente traguardato il secolo e mezzo, ma che si ripete sistematicamente con algoritmi irrazionali e frequenze troppo ravvicinate, tali da impedire il dispiegamento di programmi, la realizzazione di progetti, salvo il ventennio fascista, connotato dalla dittatura. Beh, l’esito del quesito alla Piattaforma Rousseau era scontato, una sorta di svolazzo alla firma già messa da Grillo e Zingaretti per il bis del prof. Giuseppe Conte, rivelatosi ben diverso dal Pinocchio in balia dei vice premier, che TV Boy aveva immortalato sui muri di Milano appena il 22 marzo di quest’anno, dopo aver narrato la naufragata love story tra Di Maio e Salvini, con gli strepitosi murales di Roma del 22 marzo e del 14 novembre dell’anno scorso. Dunque, tradizione rispettata, tempi brevi per alleanze e governi italici, giusto per far sorridere la concorrenza e tenerci sotto schiaffo, tra ordini e contrordini, impennate e discese dello spread, rampogne comunitarie a misura. Adesso avremo un governo tecnico-politico per quel che basta e serve, in attesa delle prossime rituali ed irrituali scadenze.
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