“La vera grande novità è poter curare il secondo tipo di glaucoma più diffuso, quello ‘ad angolo chiuso‘, con lo stesso intervento che si esegue per la cataratta“. Lo ha detto il professor Stefano Miglior, direttore della Clinica Oculistica, Policlinico di Monza, Università Milano Bicocca e presidente del 2° Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo studio del glaucoma (AISG), che si è svolto a Milano durante la Settimana Mondiale dedicata dall’Oms a questa patologia.
“Con la facoemulsificazione si può gestire spesso in modo risolutivo il glaucoma ad angolo chiuso, di cui soffre il 10% dei glaucomatosi (70% donne) e addirittura dire addio ai farmaci – spiega l’esperto – poiché rimuovendo, come si fa per la cataratta, il cristallino che continua a crescere, si permette all’angolo irido-corneale di rimanere aperto”.
Il glaucoma è “un killer silenzioso della vista” avverte Miglior – una patologia degenerativa che coinvolge entrambi gli occhi: quando la pressione intraoculare si alza troppo, questa determina danni permanenti al nervo ottico, portando a ipovisione e cecità. Fino ad oggi, non erano state sperimentate cure risolutive per guarire dal glaucoma, ma solo per rallentarlo. Ne soffrono 1 milione 200 mila persone in Italia (120 mila solo nel Lazio), 55 milioni nel mondo e si stima che potrebbero superare i 65 milioni nel 2020. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il 50% dei pazienti non sa di averlo perché si arriva tardi alla diagnosi. A essere più colpiti sono gli anziani dai 60-65 anni ma il glaucoma può insorgere già a partire dai 40.
“Ci si accorge tardi di avere la malattia, perché i danni iniziali sono diversi nei due occhi – spiega il professor Gianluca Manni, direttore della Clinica Oculistica e del Centro glaucoma al Policlinico Universitario Tor Vergata, oltre che parte del consiglio direttivo AISG – ed essendo la nostra visione binoculare, non realizziamo subito di avere un difetto“. I pazienti perdono quindi autonomia e autosufficienza, senza spiegarsi il perché, mentre si accorgono di non essere più in grado di fare cose semplici, come per esempio attraversare la strada da soli. “In tutti gli ospedali curano il glaucoma, ma non sempre sono davvero organizzati” – lamenta il professor Manni – “nel Lazio come nel resto d’Italia, si dovrebbe creare una rete con centri di riferimento di III livello dove convogliare i pazienti dal territorio, perché spesso non sanno a chi rivolgersi”.
Durante il congresso, organizzato dalla società Formazione ed Eventi guidata da Isabella Palombo, sono state esaminate tutte le novità in campo terapeutico per rallentare l’evoluzione della malattia. Per la diagnosi precoce “sono oggi a disposizione nuove metodiche non invasive come gli Oct e gli Angio Oct (Tomografia a Coerenza Ottica) – spiega il prof. Miglior – che esaminano la papilla ottica, lo strato delle fibre nervose retiniche e la circolazione ematica retinica e papillare, in modo da ottenere informazioni sempre più accurate“.
Ci sono poi i nuovi device chirurgici come i MIGS (Minimally Invasive Glaucoma Surgery). “Piccolissime ‘cannule’ che vengono impiantate nel canale di Schlemm, normalizzano la pressione intraoculare e facilitano il passaggio dell’umore acqueo attraverso una parete interna del trabecolato” spiega ancora il professore, che conclude – “sono strategie chirurgiche che permettono di eseguire l’intervento in pochi minuti, ma costano molto e i risultati sono modesti“.
Per quanto riguarda invece la terapia medica, “tra qualche tempo potrebbe essere introdotta una nuova classe di molecole, le cosiddette Rho-Kinasi – annuncia Miglior – la cui efficacia però non sembra essere superiore ai derivati delle Prostaglandine che costituiscono la prima linea nel trattamento del glaucoma“.
“Si tratta di strumenti specifici molto efficaci – sottolinea il prof. Luciano Quaranta, direttore del Centro di studio del glaucoma dell’Universita’ degli Studi di Brescia – sebbene ancora oggi il ‘gold standard’ resti l’esame del campo visivo che rileva la reazione del paziente di fronte a determinati stimoli luminosi, dando così indicazione sull’evoluzione della malattia e sulla velocità alla quale sta procedendo”.