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Il giudizio universale? Al mercatino

Se non l’avete mai fatto, fatelo, entrate prudenti, di soppiatto, come si suol dire in punta di piedi, con rispetto, e poi percorrete gli stretti corridoi, i dedali di quei ricordi aggrovigliati e smarriti, muti testimoni della vita che fu e degli umani che ne furono protagonisti. Entrate signore e signori, entrate e perdetevi tra quelle povere meravigliose cose disperse tra tempo e spazio, senza più radici, tra di loro confuse, annichilite ed indifese, alla vostra mercé, tra quelle anticaglie che fecero dei sogni la realtà e di chi ci ha preceduto. Ecco, questo è quel che mi sovviene, ogni volta che, col cappello in mano, mi avventuro tra i mesti dedali di mobili vetusti, croste d’autore, ceramiche sberciate, libri con fioriture del tempo… In questi novelli luoghi della memoria, non si è mai da soli e gli altri son tutti pure in religioso silenzio, attoniti o meglio storditi dal tralignare composito delle rimembranze, dal coro immanente dei sentimenti permeati in quegli oggetti, che hanno accompagnato nel tempo gioie e dolori di chi li possedette. Nei mercatini del riuso della memoria collettiva, di fatto si anticipa con rito sommario il giudizio universale, un giudizio in cui i protagonisti sono contumaci ed anonimi, deleganti loro malgrado. Ogni valutazione di quel che resta, dei gusti appartenenti a chi fece illo tempore scelte belle o brutte, è affidata alla capacità relativa nel valutare. Ognuno di noi è in grado di assolvere o condannare, di salvare o meno dal definitivo oblio qualcosa di qualcuno, che non abbiamo conosciuto, ma che intuiamo. Si realizza così nella penombra, in migliaia di seminterrati, di ex laboratori artigiani, di magazzini e garage, sottratti all’invasivo sistema della mobilità, una sorta di staffetta nel tempo, tra color che son vissuti e coloro che sopravvivono attraverso milioni di testimonianze mute e pur esplicite del senso compiuto e comune della vita, di un destino comune che può anche essere cinico e baro, ma non necessariamente catartico. Possiamo trovare dunque proprio nella livella del tempo scaduto un’occasione per ripartire, attraverso ciò che ci sopravvive. Insomma, non ci vuole molto per divenire artefici e protagonisti di un fenomeno metempsicotico, straordinario e senza fine mai, quello che in modo più pomposo , concluso ed autorevole ha anche dato origine ai musei, come binari morti di un percorso. Diversamente, noi abbiamo l’opportunità di determinare il rinnovarsi di pulsioni, di gioie e sentimenti, di consentire il recupero della dignità e del valore di tante cose sottratte alla obsolescenza ed alla distruzione, proprio laggiù nel sotterraneo limbo dei mercatini, dove il giudizio è davvero universale e dove senza soluzione di continuità si rinnova instancabile , giorno dopo giorno.

Ruggero Alcanterini

Direttore responsabile de L’Eco del Litorale

 

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