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EDITORIALE DEL DIRETTORE – L’ATLETICA SUL FILO DI LANA

Di Ruggero Alcanterini

 

L’ATLETICA SUL FILO DI LANA – Siamo in vista di un traguardo non soltanto ideale, di un punto d’arrivo e ripartenza per lo sport e in particolare per quello da cui ci originiamo, l’atletica leggera. Ecco, l’idea è non solo di come ci si arrivi sul filo, a quel traguardo ideale, che ognuno di noi si è dato all’inizio di un percorso, ma perché. Alla fine ogni storia non può che essere originale, soggettiva, personale. Io, dunque, conservo da sempre nell’intimo pensiero una mia visione pressoché onirica dello sport, che mi accompagna dall’adolescenza, che ancora mi tiene per mano, che mi detta un ritmo senza pause, né cali, né soste, di lena piuttosto lunga. Insomma, partendo dalla corsa sappiamo che le diverse forme in cui l’atletica si alleggerisce, sino sintetizzarsi nel decathlon, rappresentano l’esaltazione delle individualità, di fatto il massimo in termini metaforici, ovvero la sintesi del concetto di “Ognun per se e Dio per tutti!”. Cosa vuol dire questo, in termini pratici, ora che la “Regina” è in sofferenza di emozioni, di coinvolgimenti nell’italico immaginario? Che ahimè si è di fronte ad una crisi di vocazioni, talenti e di immaginifici precettori. Insomma un malessere che pervade ormai da troppo tempo chi è nella torre, che fu eburnea per buona parte del XX Secolo. Un calo del desiderio o una crisi da astinenza ? Non c’è dubbio che la millenaria matrice, nobile, blasonata comporta di per se quella sicumera che, nel fare la differenza, tradisce nei fatti il divenire, salvo l’ambizione, l’ardire. Allora, la consapevolezza di rappresentare l’archetipo per eccellenza, l’homo ludens, l’eroica millenaria passata per i Giochi Olimpici, Istmici, Pitici, Nemei, Agonali, di essere gli eredi, i portatori del mitico messaggio di speranza e di progresso partito con Fidippide, magari fa rinsavire o delirare, vedere orizzonti con luce diversa. Diciamo che occorre percepire quel che è immanente e immateriale, affidato alle potenzialità che non tutti sono capaci di intuire, alla sensibilità che consente di apprezzare fenomeni apparentemente effimeri, ma in realtà straordinari, come lo possono essere un doppio arcobaleno o l’aurora in trasmutazione boreale. In verità, la storia dell’atletica leggera italiana si impunta ogni giorno di fronte alle sue radici negate, quello Stadio di Domiziano, sepolto da quasi duemila anni sotto Piazza Navona, che pazientemente attende la restituzione del ruolo, il riconoscimento e la riconoscenza, per essere la pietra angolare o se preferite nera del movimento mondiale. Basterebbe questo per far capire l’esigenza di un rapporto culturalmente diverso, non snob, ma ambizioso sì, nei confronti di popolo e istituzioni. Una pervicace azione di promozione culturale espressa in modo efficace con mezzi aggiornati, un importante investimento nel campo della comunicazione, dovrebbero sovvertire la stagnazione e l’obsolescenza, mentre la presenza strategica in ogni Comune riconcilierebbe fantasia e realtà sui territori, laddove oggi inattesi e inosservati germogliano e appassiscono anche coloro che potrebbero ambire al podio più alto, come capitò a quasi tutti i nostri amati, osannati e indimenticati campioni da Lunghi a Pietri a Frigerio, da Maffei a Valla, da Dordoni a Pamich, da Consolini a Tosi, da Berruti a Mennea, da Simeoni a Damilano. Sento di dover descrivere questo aspetto romantico e ideale, passionale che ha contraddistinto i migliori momenti della nostra vita, quando quelli di gloria avevano del trascendentale e prescindevano sintomaticamente dal rapporto burocratico organizzativo, erano avulsi dalle fortune di club titolati, di centri in divisa, da selezioni da bando o parametri di guru testardi, ma si affidava a refoli di vento spiranti dalle più diverse direzioni. In poche parole, l’atletica deve tornare a battere i territori e a rapportarsi con il tessuto sociale, sposando quelle marginalità che più hanno bisogno di identificarsi con l’essenzialità del gesto sportivo, a partire da quello più spontaneo, dal camminare veloce, prima ancora di correre. Occorrono ancora entusiasmo e capacità empatica per recuperare lo spazio che spetta, compiendo un atto doveroso verso la collettività, rivedendo completamente i numeri di società, eventi e praticanti, intercettando tutto quel che è in sospensione, trasformarlo in fertile humus e determinare la ripresa in progressione geometrica. L’atletica è nel DNA di ognuno. Dobbiamo soltanto attivare con sapienza la giusta attenzione, la capacità di misurarsi, di ascoltarsi, di valutarsi a partire dalle opportunità di autostima, tali da cambiare anzitutto la qualità etica del rapporto con se stessi e gli altri. Oggi possiamo portare il verbo o se preferite la proposta per essere diversi, migliori, attraverso la metodologia informatica, i social. Possiamo generare un sistema di promozione diretta, di approccio e assistenza per numeri illimitati di praticanti, salvo le declinazioni successive da dedicare alla fase premiante, alla qualità. Se ricordiamo Ridolfi, Zauli e Nebiolo, piuttosto che Comstock, Oberweger e Rossi occorre abbinare i medagliati sul campo, eccellenze simboliche rappresentative della loro genialità, oltre la sapienza costruttiva con Littoriali, Studenteschi, Campi Scuola, Olimpiadi, Scuola Nazionale, Universiadi, Centri Olimpia, Giochi della Gioventù … Infine, proviamo a pensare positivo, all’interesse ed alla capacità d’interpretare sentimenti così profondi ed al contempo essenziali da parte di chi ora assurgerà al comando, per affrontare una fase così importante, per quella che appare come una opportunità di necessaria rinascenza, di operare l’alchimia nell’angusto spazio che rimane tra il vivere e il morire, piuttosto che sopravvivere, sul filo di lana. Lo sport italiano è di fatto ad un bivio, nel momento più complicato per la vita del Paese, eppure proprio con l’atletica ha la possibilità di assumere un ruolo salvifico per milioni di cittadini disorientati e in carenza di attività fisica, per restituire libertà e speranza attraverso il movimento più naturale, l’opzione più semplice del camminare e del correre e poi di saltare e lanciare, fiduciosi verso il futuro.

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