Di Ruggero Alcanterini
L’UOMO E’ QUEL CHE NE RIMANE – Avete provato a riflettere, oltre l’emergenza? Avete capito che di giorno in giorno la natura ci restituisce con i suoi conati, quel che con suicida disprezzo le scarichiamo addosso, sfregiandola ogni dove? La nostra memoria è per forza corta, breve, anzi quasi un nulla rispetto al tempo remoto, miliardario d’anni, ma comunque poco e niente, anche per il passato prossimo di qualche decina di migliaia di anni. Le pestilenze e le ondate coleriche, le febbri malariche, il vaiolo o il banale raffreddore, che fece strame tra gli indios, che decimati ci mandarono indietro i conquistadores carichi d’oro, ma anche portatori della sifilide, le “influenze” dalla spagnola alla SARS, a quella attuale, non sono che ovvie risposte. Il tabacco e l’oppio, le droghe naturali e le sintetiche, l’alcool e poi le guerre di penultima ed ultima generazione, le pulizie etniche, le bombe atomiche esplose sugli inermi e le centrali nucleari disastrate, la mega pandemia dell’inquinamento da sostanze tossiche, l’asbesto ovunque profuso, tumori e disfunzioni da orribili stili di vita, hanno fatto e fanno ben più morti di questo ultimo alieno coronato, il COVID 19, eppure oggi non destano tanta emozione e confusione. Ecco dunque la prova, che quel che sfugge alla mano destra dell’uomo non può che essere recuperato dalla sinistra, quella dello scudo e del cuore, della difesa estrema. La paura dunque è per l’ignoto, per l’imprevedibile e per l’incontrollabile, giusto per quel che il Pianeta ci riserva nella prospettiva di una lotta impari con un verdetto scontato. In definitiva gli umani sono diventati troppi e l’ipertrofia delle loro nefandezze non può che comportare riequilibri d’ordine naturale. In definitiva, l’uomo oggi è quel che appare, al centro di una realtà negativa, davvero troppo aumentata, regnante sull’effimero ed ora coronato da un ennesimo virus, lui stesso essenza di quel che rimane, rottame tra i rottami di un dissennato divenire.