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ECO REMEMBER DEL DIRETTORE Ruggero Alcanterini 30 GENNAIO 2018

Di Ruggero Alcanterini

 

 

IL CALCIO NEL PALLONE – Forse, quando si dice che il calcio è metafora della vita qualche ragione c’è. Infatti, ieri, le schede bianche, che sono l’anticamera dell’astensione, hanno messo in ginocchio la Federazione Italiana Gioco Calcio, che non è riuscita ad eleggere il suo Presidente. Tira dunque l’aria, anzi il vento della sfiducia anche per lo sport della domenica, quello che monopolizza tv e giornali, che fa discutere più nei bar che nelle sezioni di partito, quello che impegna le forze dell’ordine più dei black bloc . Di questi tempi, in cui l’opinione pubblica è tempestata da promesse elettorali ed il Paese corre su di un declivio pieno di incognite, il mondo dello sport, reduce dagli Stati Generali, in cui ha fatto il punto, in vista di un aggiornamento dopo il 4 marzo, mentre si prepara a possibili probabili positivi esiti nei Giochi Invernali di Pyeongchang , riemerge come un fiume carsico il problema della Presidenza della Federcalcio e se vogliamo nel suo complesso quello del football in Italia. Infatti, nell’immaginario collettivo e non solo, molti associano il pallone allo sport, visto che è di gran lunga la disciplina più popolare con tutti i risvolti del caso. E’ ovvio, che l’ennesima crisi della Federazione, con il vuoto, dopo il naufragio di Tavecchio, succeduto ad Abete dimissionario nel 2014 e con l’esclusione dai prossimi mondiali in Russia, mette il CONI di fronte alla necessità di dare una risposta adeguata, autorevole a quello che potrebbe divenire un problema più grande di quello che è. Infatti, nessuna disciplina sportiva è così omologa al territorio ed al suo tessuto sociale quanto lo è il gioco del calcio, retto dalla FIGC sin dal 1898, sia pure con alterne vicende ed una scissione (Confederazione Calcistica Italiana ) nel 1921-22. Non a caso nel 1923 fu il Commissario Giovanni Mauro ad introdurre il nuovo Presidente Luigi Bozino, che dovette comunque fari i conti con altri commissariamenti, prima con Giuseppe Corbari (1925) e poi con il mitico Lando Ferretti nel 1926, che non solo fu l’artefice del CONI nella sua forma odierna (dal 24 febbraio del 1927, come Federazione delle Federazioni Sportive, al 1929 con la ufficializzazione della Carta dello Sport, sintesi dell’intero movimento sportivo italiano, compreso l’associazionismo del “regime”, appunto sotto la competenza del Comitato Olimpico). Ferretti nel 1926, ancora presidente “laico” del CONI, da Commissario della Federcalcio, si preoccupò di mettere ordine nel suo ordinamento e varò la famosa Carta di Viareggio, dirimente tra dilettantismo e professionismo. Ricordo il ruolo di Ferretti per introdurre quello degli altri sei commissari succedutisi nel tempo e in particolare quello di Bruno Zauli, altro gigante nella storia del nostro sport e del Paese, che da Segretario Generale del CONI, tra il 1958 e il 1959, alla vigilia dei XVII Giochi Olimpici del 1960 a Roma, trovò il modo di bissare il lavoro di Ferretti, di messa a punto delle carte federali, dopo l’uscita di Ottorino Barassi e prima dell’arrivo di Umberto Agnelli. Poi ancora commissari in algoritmo con i presidenti. E così tra il 1986 e i nostri giorni, sono arrivati in successione, a mettere ordine in Via Allegri, Franco Carraro, Raffaello Pagnozzi, Gianni Petrucci, Guido Rossi e Luca Pancalli, salvo colui che adesso avrà ancora il compito e che è nella mente di Giove. Per concludere, mi rimane il dubbio che una volta finito il mandato del prossimo inviato speciale dal Foro Italico, non si riparta dalle posizioni attuali, che vedono il mondo del calcio sostanzialmente ripartito in tre blocchi, ovvero Calciatori, Lega Dilettanti e Lega Professionisti. Alla fine, il prevalere di Cosimo Sibilia su Damiano Tommasi e Gabriele Gravina, in rappresentanza della Lega Pro, non ha superato il cinquanta per cento dei voti, come è previsto dallo statuto federale. Così hanno vinto le schede bianche con il cinquantanove per cento, mandando tutti a casa in attesa dell’ennesimo Commissario e con l’idea che si debba mettere mano ad un profondo rinnovamento. Forse è venuto il tempo di dividere il grano dal loglio.

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