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COVID DANZA MACABRA

Paradossalmente, se non avessimo la disponibilità del vaccino, oggi avremmo meno problemi, meno confusione e un’idea assolutamente chiara, quella della rassegnazione, di fronte all’incombente pericolo, alla mannaia del boia Covid19, salvo la sopravvivenza per grazia ricevuta. Questa era la situazione, giusto un secolo fa, di fronte all’altra grande pandemia, la così detta “Spagnola”, che non fece sconti a nessuno e mollò la presa soltanto dopo aver compiuto un’ecatombe… Se ieri il terrore era mitigato dalla censura di guerra, oggi ci consentiamo di discettare senza limiti su vax e no vax, su numeri, tipologie di mascherina, età, prescrizioni e proscrizioni, varietà dei pass … Ieri, a fronte dei trentasette milioni di vittime della Prima Guerra Mondiale (di cui 17 morti e 20 con lesioni permanenti) per il morbo partito da un campo militare USA nel 1917, ben cinquanta, se non cento, raggiunsero i Campi Elisi, contro la loro volontà, a fronte dei cinquecento milioni di infettati nel mondo. Oggi cinque milioni e mezzo di deceduti e trecento di contagiati nel Pianeta sembrano stemperarsi, lontani nell’immaginario metabolizzato dai media e rielaborato dai social, finendo per assumere anche i contorni di un fastidioso, esagerato impedimento ai consumi, allo sviluppo, alle logiche tradizionali del profitto. Questa storia, che riguarda relativamente noi (comunque protetti a maggioranza da vaccino e protocolli) e minaccia seriamente altri (privi delle più elementari forme di difesa) ha indubbiamente un suo fascino oscuro, un suo ruolo non soltanto simbolico, come peggio capitò con le pandemie da peste, colera e vaiolo, quando intere comunità furono annientate, decimate, impoverite, nonché naturalmente selezionate. Dunque, a che gioco giochiamo? O meglio, con quale passo intendiamo continuare ad affrontare quella che sembra involversi e alternarsi, come una sorta di danza macabra ? Lo scontro sociopolitico sul vivere o morire, scendere in campo o no, la diaspora sul rifiuto dell’attesa, insomma, potrebbe essere una disputa liberatoria a prescindere, come quella con i sostenitori del “chi se ne frega!”, che ispira chi sfida il rosso ai semafori. E poi? Poi verrebbe comunque il tempo della ricostruzione, del come eravamo, della storia, che verrebbe raccontata da altri dopo di noi, che non si dovrebbero più difendere dal Covid19, ma da nuovi futuri invisibili perfidi inimici, forse.
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