Ieri, domenica 9 ottobre, si è votato a Roma – così come a Milano, Bologna, Napoli e Torino – per il rinnovo dei consigli delle ex province abolite. Tuttavia, non saranno i cittadini a scegliere i loro rappresentanti: si tratta infatti di un’elezione di secondo grado, nella quale a votare saranno i sindaci e i consiglieri comunali. Di fatto, si tratta di un’anteprima dello scenario che si potrebbe concretizzare a Palazzo Madama se al prossimo referendum costituzionale vincesse il Sì, come auspicato dal premier Renzi.
In base alla riforma Delrio del 2014 (“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”), il Consiglio metropolitano dura 5 anni. Possono correre per la carica di consigliere metropolitano i Sindaci dei comuni della Città Metropolitana e i consiglieri comunali. La carica di sindaco spetta invece automaticamente al primo cittadino del capoluogo: a Roma, ad esempio, il capo dell’amministrazione capitolina Virginia Raggi è di diritto anche sindaco della città metropolitana. La norma prevede che il voto dei sindaci e consiglieri venga ponderato in base alla popolazione: il voto di sindaci e consiglieri, quindi, pesa di più o di meno a seconda della fascia demografica in cui è inserito il loro Comune.
Nella Capitale, il cui consiglio è composto da 24 membri, sono in corsa 4 liste: Movimento 5 stelle, Le Città della Metropoli, Patto Civico Metropolitano e Territorio Protagonista. Gli elettori sono 1.647, ovvero i consiglieri e i sindaci eletti nei 121 comuni della provincia. La sindaca Raggi, la cui nomina è stata ufficializzata il 22 giugno, ha votato alle 14.20 a Palazzo Valentini. Un appuntamento rispettato anche dal M5S, nonostante quest’ultimo abbia a lungo osteggiato la riforma.
In attesa dei risultati ufficiali (nella prima serata di ieri aveva votato il 65,67% degli elettori, sei ore prima della chiusura dei seggi alle ore 23; lo spoglio è in corso dalle 8 di stamane), l’allarme è già scattato.
La Sindaca Virginia Raggi al voto a Palazzo Valentini
