Quando Sergej Bubka, il 5 settembre del 1987 all’Olimpico, vinse l’oro e poi, con l’asta, buttò via il record del mondo, io c’ero. Sergej reagì allo squillar di trombe, che annunciava intempestivamente la cerimonia di premiazione per le colleghe pesiste, a sorpresa officiata dal sottoscritto, in sintonia con la rincorsa thriller di Evangelisti sulla pedana del lungo e in combinazione alchemica con uno tsunami di fischi da parte del pubblico, concentratissimo sul tentativo di record planetario da parte dell’ucraino. Allora, lo spirito di Tiresia, cieco ma non sordo e non muto, mano nella mano con la figlia Manto, mi disse : “Ciao Ruggero, l’atletica saltando va nella bufera ed anni ed anni passeranno, sino a che altro coronato oltre il limite volerà nell’Olimpico cielo”. Ecco, dunque, che ieri l’incantesimo di è rotto. Per questo, gli Dei hanno fatto sparire ognuno, silenziato i sentimenti, lasciato che il normodotato Svedese americano Armand Duplantis compisse il rito riparatore, accompagnato dalle ali di Nike. Ecco, allora, che chiuso il ciclo dell’attesa, come l’indovino della stirpe degli Sparti e vecchio di sette generazioni, temprato da esperienze a noi precluse, ci apprestiamo alla speranza di una rinascenza atletica, quando gli eroi e gli estimatori torneranno in campo e sugli spalti a contendere la palma e a respingere preconcette partigianerie. Così lo sport tornerà a gioire con l’atletica e la salute si avvarrà della competizione, come capitava in Campo Marzio, con la protezione di Iside, per i giovani romani dediti agli Agonali, nello splendido Stadio di Domiziano.