C’è “erba” ed erba. Sbaglia chi crede siano tutte sono uguali. La cannabis fa bene. è la conclusione cui sono arrivate il 28 settembre scorso le commissioni riunite di Giustizia e Affari sociali della Camera dei Deputati. All’esame c’erano gli emendamenti al Testo Unificato riguardante le “Disposizioni in materia di coltivazione e somministrazione di cannabis ad uso medico”. L’Atto ha voluto assicurare una qualità standardizzata della cannabis, per uso terapeutico; definire chiare indicazioni terapeutiche della cannabis prescrivibili dalla classe medica, aprire a nuovi studi e ricerche scientifiche; garantire l’equità nell’accesso di pazienti a trattamenti con cannabis ad uso terapeutico.
“Degli oltre 60 componenti contenuti in natura nella pianta di Cannabis sativa, il THC è il principale ingrediente con proprietà psicotrope insieme al cannabidiolo CBD, non psicoattivo”, sostiene la dr.ssa Laura Bazzichi, reumatologa dell’A.O.U. di Pisa, al 4° Congresso Nazionale della Società Italiana di Gastro Reumatologia SIGR in corso a Roma. “Oltre 25 anni di studi sperimentali dimostrano l’influenza immuno-modulante dei cannabinoidi sul sistema immunitario, nelle attività dei linfociti T e B, come delle cellule NK, della microglia e dei macrofagi. Modelli in vitro e in vivo indicano che i cannabinoidi modulano la produzione e la funzione delle sostanze infiammatorie (citochine) in fase acuta con un aumento del livello di quelle anti-infiammatorie. A ciò corrisponde un miglioramento di alcuni sintomi delle malattie autoimmuni che interessano il 3% della popolazione mondiale”.
Per quanto riguarda il meccanismo d’azione, “studi preclinici nelle malattie infiammatorie croniche intestinali condotti su modelli animali sembrano suggerire un ruolo omeostatico dei componenti del sistema endocannabinoide (ECS) nell’intestino”, interviene con cautela il professor Vincenzo Bruzzese, Past President della Società Italiana di Gastro Reumatologia. “Di conseguenza, si ritiene che la valorizzazione del segnale endocannabinoide sia una risposta ai disturbi infiammatori e miri a ripristinare l’equilibrio del tessuto o dell’organo offeso”.
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha indagato i possibili usi medici di alcuni componenti della cannabis soprattutto riguardo la terapia del dolore, per coadiuvare il trattamento di alcune patologie, diminuire i disturbi infiammatori o ridurre fastidiosi sintomi correlati a varie malattie (dolore, nausea, etc.). Ad esempio, in un trial del 2014 controllato con placebo, i ricercatori hanno trattato 21 pazienti malati di Crohn con cannabis o placebo. A 11 di questi è stata somministrata cannabis. Tra gli 11 pazienti, 5 hanno manifestato piena remissione entro la fine del processo mentre 10 su 11 hanno mostrato miglioramenti dei sintomi, rispetto a soli 4 su 10 del gruppo di controllo con placebo.
In realtà, la prevalenza di studi osservazionali con dimensioni del campione estremamente piccole, la durata breve dello studio, l’eterogeneità delle condizioni reumatiche e dei prodotti somministrati consentono solo conclusioni limitate, ad oggi. Vanno ancora stabiliti i cannabinoidi specifici, nonché appropriate condizioni mediche, dose ottimale e modalità di somministrazione, per massimizzare gli effetti benefici evitando eventuali effetti nocivi del cannabinoide.
La comunità scientifica è comunque d’accordo nell’affermare che “la vasta espressione di CB2 sulle cellule immunitarie fa intuire un legame con l’autoimmunità. Prove sperimentali in vitro ed in vivo hanno stabilito l’efficacia della Cannabis terapeutica in malattie quali artrite reumatoide, diabete tipo 1 e sclerosi sistemica, fibromialgia, lupus eritematoso sistemico, dimostrando una correlazione tra attività di malattia e cannabinoidi. Considerando la cronicità delle malattie autoimmuni, il significato di trovare un trattamento farmacologico che abbia effetti avversi relativamente bassi è di primaria importanza”, prosegue la dottoressa Bazzichi.
“Va detto ovviamente che la sostanza reperibile attraverso il mercato illegale è ben altra cosa rispetto a quella impiegata per uso medico”, sottolinea la dottoressa. “La sua pericolosità riguarda sia la qualità della sostanza che la quantità di principio attivo in essa contenuto, che può essere presente in concentrazioni variabili”.
Infine, “gli eventi avversi dei cannabinoidi sono da considerarsi relativamente modesti ma è comunque necessario accertarsi dei benefici clinici insieme al profilo di sicurezza e alle interazioni farmacologiche. A fronte di un’insufficiente e condizionata informazione sull’uso medicinale della cannabis”, conclude la dottoressa Bazzichi, “i medici si trovano oggi indotti a prescrivere il trattamento con cannabinoidi nei casi più studiati come la sclerosi multipla, malattie infiammatorie croniche intestinali e fibromialgia. Contrariamente alla comprovata efficacia sul dolore e la rigidità nelle suddette malattie, la valutazione nell’artrite reumatoide rappresenta ancora una promessa terapeutica”.