La legge sul testamento biologico, approvata in Senato a dicembre 2017, è entrata in vigore ieri, 31 gennaio 2018, a conclusione di un iter piuttosto travagliato, caratterizzato da polemiche e ritardi. Ma per il nostro Paese si tratta di una conquista di civiltà, come sottolinea Federconsumatori, perché offre la possibilità ad ogni individuo di “scegliere in anticipo quali trattamenti medici ricevere nel caso di gravi malattie”. Non solo, la nuova legge sul cosiddetto “fine vita” garantisce anche la “libertà del paziente di rinunciare ad alcune terapie, in particolare alla nutrizione e all’idratazione artificiale”, interrompendo quindi questi trattamenti in base alle proprie decisioni.
La materia, molto complessa, negli ultimi anni ha generato dibattiti accesi, sollevando delicate questioni di carattere etico. Adesso è disciplinata in otto articoli, con i quali vengono fissati dei punti fermi che riguardano, tra l’altro, il consenso informato del paziente; la disposizione anticipata di trattamento sanitario o di accertamento diagnostico (Dat); la responsabilità civile e penale del medico; la pianificazione delle cure, condivisa tra paziente e medico, con la quale si può modificare quanto espresso in precedenza.
La Dat, che può essere presentata da ogni persona maggiorenne capace di intendere e di volere, è modificabile e revocabile in qualsiasi momento e rappresenta uno degli elementi centrali della nuova normativa. Il documento va consegnato ai Comuni di residenza o alle strutture sanitarie, attraverso la redazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata (da un notaio o da altro pubblico ufficiale o da un medico del Servizio sanitario nazionale o convenzionato e non sconta alcun tipo di imposta, né tassa o diritto), o attraverso altre forme di comunicazione come la videoregistrazione del messaggio (sul sito dell’Associazione Luca Coscioni è possibile scaricare il modello da compilare).
Chi sottoscrive il biotestamento, in ogni caso, come suggeriscono gli esperti del settore, farà bene a nominare un fiduciario, cioè una persona che all’occorrenza si assuma la responsabilità di interfacciarsi con il medico e la struttura sanitaria. La legge lo prevede, ma non obbliga a farlo. Il fiduciario, che può rifiutare l’incarico ed essere suscettibile di revoca, ha la possibilità di disattendere le Dat quando intervengono nuove terapie, non prevedibili all’atto della sottoscrizione, che prospettano reali opportunità di miglioramento delle condizioni di vita.
Così come conviene specificare nella Dat il ricorso o meno alla cosiddetta sedazione palliativa, costituita da un mix di farmaci che inibiscono la coscienza dell’individuo impedendogli di sentire dolore.
Ciò che al momento manca, però, è una Banca dati a livello nazionale (la legge di Bilancio 2018 stanzia comunque 2 milioni di euro per la costituzione) e in proposito il Consiglio nazionale del Notariato, che ha predisposto un apposito vademecum informativo sulla legge, annuncia di aver “quasi ultimato un registro nazionale – non accessibile al pubblico per motivi di privacy e senza costi per lo Stato – consultabile da parte di tutte le aziende sanitarie italiane”.
Un’iniziativa importante, visto che la legge 219 sul biotestamento prevede solo registri regionali e non tutte le Regioni dispongono attualmente del fascicolo sanitario elettronico (Fse). Può capitare, quindi, che nel caso di ricovero in una Regione diversa da quella in cui si vive, i medici non abbiano la possibilità di conoscere le volontà del paziente (Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata, ad esempio, non hanno ancora una banca dati). Restano anche alcune differenze da città a città e finora solo 187 Comuni su 8 mila hanno istituito un registro per la raccolta dei testamenti biologici.
Altro aspetto sostanziale del biotestamento è il consenso informato: la legge “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”.
Viene stabilito, inoltre, che ogni persona ha “il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefìci e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati”, ma anche sulle “possibili alternative e le conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento”.
Riguardo ai minori, poi, il consenso informato al trattamento sanitario è espresso o rifiutato da chi esercita la responsabilità genitoriale o dal tutore, “tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.
Sulla questione dell’obiezione di coscienza dei medici, infine, secondo Federconsumatori “è indispensabile disporre controlli capillari per scongiurare il rischio che un elevato ricorso a questa opzione da parte del personale sanitario renda di fatto impossibile l’attuazione della volontà espressa dai pazienti”.
di Antonio De Angelis