Soffrire di un disturbo alimentare sconvolge la vita di una persona, infatti sembra che tutto ruoti attorno al cibo e alla paura di ingrassare. Cose che prima sembravano banali possono diventare difficili se non impossibili e motivo di forte ansia. I principali disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, queste sono patologie caratterizzate da un’alterazione delle abitudini alimentari e insorgono prevalentemente durante l’adolescenza colpendo soprattutto il sesso femminile. I comportamenti tipici di una persona che soffre di un DCA sono: digiuno, restrizione dell’alimentazione, crisi bulimiche, vomito autoindotto, assunzione impropria di lassativi e diuretici al fine di contrastare l’aumento ponderale, intensa attività fisica finalizzata alla perdita di peso. Una caratteristica quasi sempre presente in questi casi è l’alterazione della propria immagine corporea, la percezione che la persona ha del proprio aspetto, ovvero il modo in cui nella sua mente si è formata l’idea del suo corpo e delle sue forme, sembra influenzare la sua vita più della propria immagine reale. Spesso il disturbo alimentare è associato ad altre patologie psichiatriche, in particolare la depressione, ma anche disturbi d’ansia, abuso di alcool o di sostanze, il disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi di personalità. Questo tipo di disturbi occupa uno spazio molto particolare nell’ambito della psichiatria, poiché oltre a “colpire” la mente e quindi a provocare un’intensa sofferenza psichica, essi coinvolgono anche il corpo con delle complicanze fisiche talvolta molto gravi.
In queste patologie è fondamentale un trattamento psicoterapeutico, come la terapia cognitivo comportamentale, che ha come obiettivi iniziali la normalizzazione del comportamento alimentare. In seconda battuta, occorre aumentare i livelli di autostima, ampliare la definizione di sé al di là dell’apparenza fisica, ridurre il perfezionismo e il pensiero tutto-nulla, migliorare i rapporti interpersonali, aiutare i familiari a gestire il problema, mettendo anche in evidenza quali atteggiamenti siano controproducenti e da evitare. Vengono poi usate procedure cognitive per identificare e modificare le idee disfunzionali alla base del disturbo e tecniche comportamentali, in particolare si usa la procedura di esposizione e prevenzione della risposta, che consiste nell’assunzione di cibo alla presenza di un operatore e in condizioni in cui le condotte di compenso vengono bloccate. La terza fase prevede l’applicazione di procedure finalizzate a mantenere i risultati raggiunti durante il trattamento, usando strategie di prevenzione delle ricadute e tecniche che mirano ad aumentare la capacità di fronteggiare le situazioni critiche per il paziente.
In passato questa patologia non era cosi tristemente famosa e i malati vivevano questa dura battaglia nell’anonimato, senza il giusto sostegno, mentre attualmente in tutto il territorio italiano sono diffuse molteplici strutture, dove rivolgersi, per affrontare insieme a specialisti del settore questi seri problemi, fornendo un aiuto fondamentale ai malati e alle loro famiglie.