Il nuovo premier britannico, Rishi Sunak, ha deciso di diminuire drasticamente la presenza degli “Istituti Confucio” nel Regno Unito. Com’è noto, tali Istituti, finanziati dalla Repubblica Popolare Cinese, sono molto diffusi nelle Università occidentali, Italia inclusa.
Ufficialmente hanno lo scopo di promuovere la conoscenza della lingua e della cultura cinesi all’estero, e in alcuni casi sono presenti anche negli istituti d’istruzione superiore come i Licei. Organizzando corsi di lingua, consentono agli studenti di imparare il cinese mandarino, che sta diventando sempre più importante a causa della potenza economica della Repubblica Popolare.
Sunak si è tuttavia accorto che i “Confucio” vengono spesso usati da Pechino per fini propagandistici, vale a dire per esaltare la validità del “modello cinese” tra i giovani.
Non solo. In parecchi casi essi vengono pure utilizzati per controllare l’attività degli studenti cinesi che frequentano in gran numero gli atenei occidentali. Negli USA il governo ha già preso provvedimenti restrittivi, come è del resto avvenuto in numerosi Paesi europei, per esempio la Svezia.
Mentre Boris Johnson aveva un atteggiamento tollerante al riguardo, Sunak ritiene invece che i “Confucio” siano un pericoloso strumento di propaganda, e intende interrompere la pressione che essi esercitano sugli studenti cinesi che non seguono le direttive del regime.
Verrà quindi adottato un “documento di sicurezza nazionale” simile a quello promosso dal presidente USA Joe Biden, destinato a frenare la crescente influenza politica e culturale esercitata delle potenze autoritarie negli Stati dell’Occidente liberale e democratico.
Non è tutto. Si è anche scoperto che esistono vere e proprie stazioni della polizia cinese all’estero, anch’esse con la funzione di controllare il comportamento dei connazionali in loco. Sunak ritiene che ciò sia un’intollerabile violazione della sovranità britannica, e ha promesso di chiuderle.
Mette conto notare che si è scoperta l’esistenza di una simile stazione di polizia anche a Prato, che ospita la più grande comunità cinese in Italia. La notizia è stata ampiamente riportata dalla stampa, ma non risulta, almeno finora, che il nostro governo abbia preso provvedimenti. Forse temendo di danneggiare i fiorenti rapporti economici e commerciali tra Pechino e Roma.
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