Speciale derby: nella trasmissione in onda tutti i martedì alle 21 Osservatorio Granata, un ospite d’eccezione, bomber di razza ed esperto di gol, è intervenuto per spiegare cosa sia il Toro e che cosa voglia dire indossare la maglia granata.
In collegamento dal Brasile Walter Casagrande punta del Toro anni 90 che tanto bene fece nell’era Borsano insieme ad una squadra, quella granata di livello assoluto. Parole le sue che trasudano emozione vera ma che ahimè contrastano fortemente con quelle che da ormai troppo tempo sono sulla bocca dei giocatori di era “cairota”. Non per ultimo Sasa Lukic che secondo il fratello procuratore dichiara che la volontà sia quella di andare via dal Torino. Quanti i giocatori che hanno deciso di lasciare la maglia granata negli ultimi anni, troppi per una società del blasone del Torino. Glick, Cerci, Immobile, Belotti o peggio ancora il neo-bianconero Bremer (brasiliano proprio come Casagrande) solo per citarne qualcuno.
Casagrande inizia subito forte: “Io penso sempre al Torino, è una squadra che mi ha preso il cuore. Già da quando ero ragazzino mio padre mi raccontava la storia del Grande Torino degli anni 40, 50 perché mio papà era tifoso del Toro.”
L’attaccante brasiliano prosegue: “Quando sono arrivato al Toro mi sono sentito subito nella mia casa. Giocare nel Torino non è semplicemente giocare in una squadra di calcio, qui si gioca per una parte della città!”
Parole che dovrebbero essere fatte ascoltare come un mantra ai ragazzi che oggi indossano la maglia granata esattamente alla stessa maniera di un Cittadella (con tutto rispetto per i padovani si intenda) qualsiasi!
Il brasiliano prosegue emozionato: “Il Toro rappresenta la parte operaia della città e anche una cosa sociale il Toro, giocare per il Torino è giocare per una squadra speciale.”
Il conduttore Leo Menegazzi domanda all’ex granata che cosa avesse visto di speciale nel tifoso del Toro e che cosa lo avesse colpito particolarmente.
“Quando sono arrivato al Torino tenevo un’energia particolare fatta di “garra”. Il Torino rappresenta un popolo e quindi per me una squadra con una storia gigantesca ed io sono arrivato conoscendo tutta la storia come se giocassi da sempre nel Toro. Io tifo per il popolo.”
Casagrande prosegue raccontando le sue emozioni e la sua esperienza ma soprattutto cosa rappresentava il Filadelfia. “Quando una squadra perde la sua identità e rimane distante dalla sua gente, la cosa più forte ed importante per il Torino è la sua identità. Identità della squadra e dei suoi tifosi. Tutto era una cosa unica squadra tifosi club e Filadelfia non c’era una differenza”.
“I giocatori entravano in campo per giocare ma potevamo stare nello stadio a fare il tifo perché eravamo una cosa unica. Era una storia d’amore. Era fondamentale allenarsi al Filadelfia. Se dovessi scrivere un libro lo intitolerei Una storia d’amore”.
Brividi ed emozione pura le sue parole e che ben spiegano ciò che dovrebbe essere il Toro vero.
“Noi ex giocatori del 91/92 abbiamo un gruppo WhatsApp, Martin Vasquez, Scifo, Lentini, Venturin, Fusi, Annoni, Bruno, Marchegiani, Policano e anche gli altri che giocavano e che erano ragazzini come Bresciani o Vieri abbiamo fatto la storia del Toro con partite indimenticabili”
La lista dei giocatori di quella squadra è impietosa rispetto al giorno d’oggi.
“È stato il mio primo derby” riferendosi al girone di ritorno vinto 2 a 0, “La squadra è entrata per vincere però sapevo perfettamente l’importanza di quella partita. Siamo entrati in campo non solo per vincere ma anche per ammazzare la Juventus sportivamente. Non avevamo nessuna possibilità di perdere la partita quel giorno perché siamo entrati in campo per consapevoli che avremmo vinto. Poteva essere anche un punteggio maggiore perché abbiamo dominato.”
Parole che suonano come musica soave per le orecchie del tifoso granata, parole che forse sono state troppo facilmente dimenticate non solo dai giocatori attuali ma anche da troppa parte della tifoseria che gioisce per un “pareggino” scialbo.
Casagrande spiega per ultimo ma non meno importante, l’importanza di avere all’interno un’identità forte dovuta anche ad un settore giovanile casalingo ed al Filadelfia aperto al pubblico: “Allenarsi al Filadelfia con le persone era importantissimo perché i giocatori sentivano l’entusiasmo sia che perdevamo sia se vincevamo. C’era un legame forte. Giocare con diversi compagni “nati” li, specialmente per noi stranieri, serviva a farci capire la realtà della nostra presenza. Avevamo un’amicizia fuori della squadra. Loro ci hanno messo in condizione di capire che ero una persona ben accolto, mi hanno lasciato tranquillo.”
Il brasiliano diventa sibillino con una frase fondamentale: “E’ molto importante avere giocatori che provengono dal settore giovanile perché loro fanno da ponte tra i giocatori ed i tifosi perché loro stessi sono i primi tifosi della squadra. Loro sono nati lì. Loro sono il legame tra i tifosi perché sono nati e cresciuti lì. Il Filadelfia non era solamente un campo d’allenamento ma era la nostra casa”
Parole che andrebbero fatte ascoltare in primis a chi oggi è il proprietario del Toro e tiene le giovanili lontano dalla sua gente.
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