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Editoriale

Social network detentori della verità

Che i social network stiano diventando troppo potenti, e a volte si trasformino in veri e propri arbitri della verità, è in fondo cosa nota. Se ne parla da tanto tempo, senza che nessuno sia riuscito a frenare la loro invadenza. L’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Donald Trump, e il conseguente oscuramento (poi superato) degli account del tycoon, ora ripropongono il tema in tutta la sua drammaticità.

All’inizio l’avvento dei social fu ovista come una benedizione. Si sperava infatti che avrebbero contribuito a diminuire le distanze tra le (cosiddette) élites e il (cosiddetto) popolo, consentendo a ognuno di dire la sua su qualsiasi argomento. Il problema, tuttavia, è molto delicato. Nel secolo scorso Karl Popper, parlando dell’eccessiva violenza presente nei programmi televisivi, invocò una sorta di “censura” volta, per l’appunto, a impedire che la violenza dilagasse. Ci furono subito reazioni sconcertate. Popper è uno dei maggiori rappresentanti del liberalismo contemporaneo, e sentirlo invocare la censura rappresentò una sorta di pugno nello stomaco per molti.

La sua risposta non fu affatto soddisfacente. A suo avviso anche la tolleranza ha dei limiti, e questi devono essere fatti valere quando gli intolleranti rischiano di prendere il sopravvento. Formalmente il ragionamento fila ma, dal punto di vista pratico, occorre pur stabilire chi è incaricato di fissare i confini della tolleranza e, soprattutto, chi deve identificare gli intolleranti.

Popper se la cavò sostenendo che occorre dotare giornalisti e operatori della comunicazione di una sorta di “patentino” che consentisse loro di svolgere al meglio i loro compiti. Proposta quanto mai astratta e per nulla efficace. Occorrerebbe, infatti, identificare dei “superesperti” etici in grado di tracciare i confini della tolleranza e di identificare senza problemi gli intolleranti.

Il problema si ripropone oggi con il temporaneo bando di Trump dai social. Persino Roberto Saviano, non certo un simpatizzante del tycoon, ha espresso dubbi pesanti. Egli non vede per quale motivo debbano essere proprio i colossi del web a cancellare gli account di qualcuno, chiunque egli sia. La realtà, a ben guardare, è che sono i “padroni” dei social a prendere tali decisioni, per esempio Mark Zuckerberg per quanto riguarda Facebook, e questo fatto si configura come un attentato alla libertà di espressione e alla stessa democrazia.

Ora simili preoccupazioni vengono espresse anche da due delle nazioni europee che fanno parte del “Gruppo di Visegrad”, Ungheria e Polonia. Kaczynski, Orban e i loro sostenitori temono, in altre parole, di essere i “prossimi della lista”, ben sapendo quanto le loro tesi siano impopolari all’estero, e particolarmente nella UE. Si noti, tuttavia, che proposte simili ormai circolano anche nella stessa Unione Europea, e in Paesi che nulla hanno a che fare con il Gruppo di Visegrad. A Bruxelles qualcuno sostiene un approccio coordinato alla materia. Ma, vista la nota lentezza decisionale dell’Unione, Francia e Germania stanno già pensando a regole nazionali in grado di contrastare il succitato strapotere dei grandi social network.

Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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