Il Mesotelioma è un tumore maligno che nasce dalle cellule del mesotelio (un tessuto che riveste la superficie delle membrane sierose che “foderano” la parete interna di torace, addome e lo spazio intorno al cuore), e nell’80% dei casi si verifica a causa di una prolungata esposizione all’amianto.
Poiché il periodo di latenza varia in genere dai 20 ai 50 anni, con una media di circa 30 anni, la biologia dell’esposizione all’amianto ed il successivo sviluppo del cancro non sono chiaramente compresi.
Tuttavia, appare probabile che si inneschi una reazione infiammatoria cronica, in grado di causare danni al DNA e alle cellule mesoteliali.
Purtroppo la diagnosi patologica solitamente arriva quando il mesotelioma è già in stadio avanzato, sia perché il ceppo sottile di tumore è difficilmente distinguibile ai raggi X, sia perché spesso il male è asintomatico.
Per arrivare al terribile verdetto, generalmente vengono utilizzate tecniche microscopiche e spesso si richiede l’esecuzione di una serie di test immunoistochimici (IHC) su ciascun tumore per determinare se si tratti di mesotelioma o di un’altra forma di tumore che si è diffuso a livello del torace o alla cavità dell’addome.
La sopravvivenza alla terribile malattia è ancora piuttosto scarsa e la ricerca sta tentando nuovi approcci sperimentali al trattamento, sfruttando la presenza di bersagli biologici o molecolari, visto che le modalità terapeutiche standard per questo tumore hanno finora prodotto risultati insoddisfacenti.
La vite è una pianta ricca di composti bioattivi ed è nota per i suoi effetti terapeutici.
Già in passato, alcuni studi di laboratorio avevano mostrato che i fitochimici derivati i degli estratti di semi d’uva potevano inibire i cambiamenti cancerosi sulle cellule tumorali della mammella, del colon e della pelle ed esercitare un effetto citotossico sui tumori.
Adesso, uno studio multicentrico condotto al CNR di Napoli, (i cui risultati sono stati pubblicati su Journal of Functional Foods nella sua edizione di ottobre 2019),
ha evidenziato come gli estratti semi-polari d’uva di due vitigni italiani (Aglianico e Falanghina) svolgano una interessante attività anticancro in tre diverse linee cellulari di mesotelioma in vitro.
Si è altresì evidenziato che l’inibizione della crescita del cancro è assai più efficace con gli estratti di semi anziché di buccia d’uva.
A parità di concentrazione e periodo di tempo, l’estratto di semi d’uva falanghina ha ridotto la vitalità delle cellule del mesotelioma del 30% dopo 24 ore, mentre quello di semi d’uva aglianico l’ha ridotta del 40%.
Dopo 48 ore, la percentuale di vitalità è aumentata notevolmente con entrambe le varietà di uva.
Insomma, le nuove molecole fenoliche da semi d’uva potrebbero essere utilizzate come farmaci “alternativi” da usare da soli o in combinazione con chemioterapici standard nel trattamento del mesotelioma.
Il prossimo passo prevede lo studio degli estratti in vivo (modelli di topo).
Se l’esito dovesse esser positivo, si procederebbe ad una sperimentazione clinica che coinvolge l’uomo con mesotelioma.
Lo chiediamo al Prof. Luciano Mutti, uno dei massimi esperti mondiali di mesotelioma, che da anni collabora con l’Osservatorio Nazionale Amianto.
“Siamo tutti contenti che si lavori sulle cure del mesotelioma e che nuovi gruppi di ricerca si impegnino attivamente.
Siamo invece piuttosto allarmati dal fatto che con eccessiva frequenza escano risultati su test in vitro che sono ben lontani da avere un’applicazione pratica ed efficace nel contrasto al mesotelioma.
Attenzione dunque alla strategia comunicativa che crea false speranze ad una malattia che purtroppo al momento non dà tregua.
Noi comunque restiamo a disposizione di chi vuole collaborare seriamente, certi della buonafede di chi opera nel settore”.
Di Meo, F. et al. (2019, ottobre). Attività anticancro degli estratti semi-polari di semi d’uva nelle linee cellulari di mesotelioma umano. Estratto da Sciencedirect.com
A cura della Dott.ssa Simona Mazza
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